Più di due anni fa il Forum Disuguaglianze e Diversità ha proposto di istituire un’eredità universale finanziata tramite una rinnovata imposta sulle successioni e sulle donazioni. Ora il segretario Enrico Letta annuncia che il suo Pd ha elaborato una proposta di dote per i giovani finanziata mantenendo l’attuale prelievo fiscale attuale sopra un milione di euro ma accentuando la progressività su chi eredita più di 5 milioni di euro.

Si tratta certamente di una proposta coraggiosa, se si considera il  contesto politico di assoluta ritrosia a trattare i temi di giustizia sociale. La somiglianza con la proposta del ForumDD, a sua volta ripresa dal contributo dell’economista A. B. Atkinson, non deve, tuttavia, fare ignorare le profonde differenze. Focalizzare l’attenzione sui principi che muovono queste proposte può contribuire  ad una discussione pubblica più ricca ed informata.

Definire i diseguali

Lasciamo da parte il piano della tassazione perché non esistono ancora indicazioni dettagliate sui cambiamenti prospettati, abbiano essi a che fare con la definizione della base imponibile (si tolgono agevolazioni e quali? Come si valutano i patrimoni?) o con la struttura delle aliquote.

Passiamo alla “dote”. Il peso di questo termine andrebbe sottolineato, anche per via delle sue connotazioni tipicamente patriarcali. Il ForumDD preferisce il termine eredità, che allude al diritto di tutti di accedere a una risorsa centrale per l’uguaglianza di opportunità e segnala un’ attenzione collettiva alla crisi generazionale che attanaglia il nostro paese, contrastando il privilegio dell’eredità familiare di pochi.

Da questo convincimento, derivano le due distinzioni fondamentali fra la proposta del ForumDD e quella del Pd.  La dote proposta dal Pd è selettiva, ossia, circoscritta a chi proviene da famiglie sotto una certa soglia economica, ed è condizionata o vincolata a determinati usi. L’eredità proposta dal Forum è universale, va a tutti e tutte, ed è e incondizionata.

Rispetto all’universalità, se ci poniamo in una posizione equitativa, non vorremmo tutti entrare nell’età adulta con il bagaglio di risorse che ci serve per formarci e per perseguire il nostro piano di vita? Certo, una misura universale richiede l’impiego di maggiori risorse finanziarie e siamo anche ben consapevoli del monito di don Milani: non “fare parti uguali fra i disuguali” che viene tipicamente imputato  a chi difende l’universalismo.

Ma definire i disuguali può essere molto complesso.  La selettività è tipicamente commisurata alle risorse economiche della famiglia e, nel nostro paese, ciò significa alla dichiarazione Isee. Come ben vediamo con il reddito di cittadinanza, un euro in più o in meno diventa dirimente per essere dentro o essere fuori, creando i trappole di povertà, distorsioni nel mercato del lavoro e maggiori incentivi a manipolare la propria condizione economica dichiarata. E, in un’epoca di redditi sempre più fluttuanti, il dato annuale può essere largamente inattendibile.

Inoltre, anche se possedessimo una perfetta tecnologia di distinzione, la selettività crea divisioni fra chi può avere e chi no, così rischiando di indebolire ulteriormente la coesione sociale e l’adesione all’imposta. L’universalismo segnala in l’impegno della collettività a garantire a tutti i suoi giovani e le sue giovani una risorsa indispensabile per sostenere l’ingresso nella vita adulta, sempre più ritardato nel nostro paese. Contare sull’istruzione, certamente serve, cosí come servono lavori di qualità con salari dignitosi.

Serve, tuttavia, anche una base di ricchezza, come ben sanno i più ricchi. Peraltro, esistono giovani di famiglie non povere che pure potrebbero essere fortemente condizionati dalle famiglie di origine in quanto portatori di piani di vita non condivisi. Se così, l’eredità rappresenta un formidabile elemento di libertà. Il che ci porta anche alle ultime considerazioni sulla incondizionalità. 

Quali condizioni

Condizionare la “dote”, come richiede la proposta del Pd, significa non fidarsi della libertà di scelta dei giovani. Privilegiare ancora una volta il paternalismo.  E le condizioni di utilizzo andrebbe monitorate e  verificate? Come e quale costo?

In più, l’associazione fra selettività e condizionalità implica che i giovani ricchi possono fare quello che vogliono e i giovani poveri no. Più che condizionare e vincolare bisognerebbe “accompagnare” le scelte con servizi abilitanti già nelle scuole che promuovano l’emersione delle preferenze individuali e l’utilizzo consapevole delle risorse finanziarie.

Ci sembra, tuttavia, importante che a sinistra finalmente si apra una riflessione sui temi della redistribuzione della ricchezza attraverso il sostegno alla creazione di ricchezza diffusa e la tassazione della parte più ricca del paese. Quella parte che ha continuato a arricchirsi anche prima della pandemia.

Non si tratta di “prendere” dai cittadini, in maniera astratta,  ma di scegliere come e da chi prendere in maniera giusta, distinguendo fra sforzo e privilegio, distribuendo un po’ di ricchezza chiedendo a chi ha di più (grazie al lavoro di tutte e tutti e, a volte, anche grazie allo sfruttamento del lavoro). Questo, ci sembra, fa parte delle responsabilità di una comunità democratica.

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