Giorni fa un’influencer, Elisa Esposito, più nota come “la prof di corsivo”, si è rivolta ai suoi detrattori. Ha postato un video su TikTok in cui dice che chi la odia e la considera una sfaticata è solo invidioso, e che chi, a differenza di lei, guadagna poco con un lavoro normale è in fondo colpevole della propria situazione: «Se guadagnate 1.300 euro al mese, la colpa è vostra, non è mia».

A pochi giorni di distanza Martina Vismara, star di Onlyfans, la piattaforma che accoglie soprattutto contenuti per adulti, ha mostrato la lista dei pagamenti (molto elevati) che riceve dagli utenti del suo canale di video, foto erotiche e gadget feticisti. Lo ha fatto per dimostrare di non essere una che «si vende per quattro spicci» e specificando che al giorno d'oggi vince il più furbo: «Io sinceramente non ho voglia di studiare vent'anni, alzarmi alle 5 di mattina e andare a fare un lavoro che magari non mi piace nemmeno. Se voi vi accontentate di 1.800 euro di stipendio, dopo vent'anni di sacrifici, fate pure questa vita».

I due casi sono in parte diversi, nel primo c’è un’accusa diretta a chi guadagna poco (“tu sei colpevole della tua povertà”), nel secondo una semplice difesa della propria scelta, seguita da un’accusa più velata (“fate pure la vita dei poveracci, se vi sta bene così”). In entrambi i casi si nominano degli stipendi, cifre precise, 1.300 euro e 1.800 euro, secondo la moda ormai consolidata di chi fa ragionamenti pragmatici, di mercato, e usa i numeri. In entrambi i casi parliamo di persone che producono un rendimento economico a partire da un capitale di difficile valutazione (e cioè loro stesse e il mondo che hanno creato).

Lo schema “Se le cose ti vanno male, in fondo è colpa tua, e se non è colpa tua è come minimo una tua scelta” non è certo nuovo, ma vive oggi una stagione di tranquillità e pienezza: pascola sereno all’interno della società. Naturalmente è uno schema criticato, ma le due professioniste che ho citato poco sopra, e che lo adottano, hanno un vasto seguito, eppure non hanno avuto alcun timore a dire cose che potrebbero non essere amate dai loro fan. Il motivo è che sanno che questo schema è ormai così accettato da non poter fare molti danni al loro successo. Non li fa, infatti.

Le persone sono ormai abituate a questa idea della povertà colpevole. Più in generale, sono abituate all’idea della vittima colpevole. Persino quando si verifica un evento pieno di orrore come un femminicidio, ci sarà sempre qualcuno che dirà che la donna doveva stare più attenta, che doveva capire il pericolo.

È terribile, ma non è strano che accada: se il senso di comunità scompare, e in effetti è scomparso, e siamo solo individui che tentano di sopravvivere sullo sfondo di un sistema brutale, è molto più semplice colpevolizzare chi si trova in condizioni di svantaggio, rispetto a tentare di cambiare il sistema che pervade ogni angolo di realtà, al punto che senza di esso la realtà sembra scomparire. Colpevolizzare una vittima non fa scomparire un bel niente, o meglio, fa scomparire le persone oppresse e insieme a loro la nostra umanità, ma questo non sembra fondamentale.

Se chiedi a varie persone di spiegarti come mai non siamo tutti ad arricchirci mostrando i nostri corpi su Onlyfans, le risposte che otterrai, a parte una prima reazione ironica, saranno probabilmente strutturate intorno a uno schema di analisi costi/benefici. Le persone parleranno, cioè, di vantaggi e svantaggi.

I vantaggi di Onlyfans sono i soldi, ma sono soldi teorici, perché in queste cose il successo è di pochi, l’insuccesso è di molti (come sempre nel modello capitalista). Gli svantaggi possono essere molteplici: la reputazione (troverai sempre chi critica certe scelte, e magari la cosa potrebbe un giorno danneggiarti), il costo in termini di relazioni, il tempo da impiegare in attività non piacevoli come rispondere ai messaggi dei fan ossessionati dal tuo corpo, il rischio fisico, nel senso che una persona che mostra sé stessa in modo erotico può rischiare di avere degli stalker.

Questa analisi costi/benefici è una razionalizzazione del problema, e in quanto tale ha lo stesso sapore dello schema della “vittima colpevole” (se sei povero, sei colpevole). È un mettere le cose sulla bilancia, per misurarle e per ricavare una specie di morale dal risultato della misurazione: la felicità netta positiva o negativa. Le razionalizzazioni rivelano quanto siamo diventati incapaci di argomentare la nobiltà di una scelta o di una rinuncia. Calcolare e ottimizzare è molto più semplice e rassicurante, e ci fa sentire intelligenti. Ma senza nobiltà siamo solo imbecilli razionali.

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