La chiamano “collegialità”. E di solito viene invocata all’indomani di una sconfitta elettorale. Perché il leader solo al comando funziona fino a quando fa vincere le elezioni. Ma non appena inciampa, ecco che i suoi avversari presentano il conto.

Molto spesso la collegialità coincide con l’inizio della parabola discendente del capo che, costretto a mediare, smussare, condividere, si ritrova imbrigliato e, col passare del tempo, fagocitato. È presto per dire se le elezioni regionali e la sconfitta in Toscana di Susanna Ceccardi siano un indizio di un processo irreversibile. Di certo c’è che dopo il risultato delle elezioni del 20 e 21 settembre Matteo Salvini ha deciso di aprirsi alla “collegialità”. Il Capitano, l’uomo indistruttibile che un anno fa sfidava tutti in costume dalla spiaggia del Papeete chiedento «pieni poteri», d’ora in poi sarà un po’ meno libero di fare ciò che vuole.

È stato lui stesso ad annunciare la rivoluzione ospite di Porta a Porta: «Ci sarà una segreteria politica. Io più delego, più son contento. È un momento in cui la società ha bisogno di risposte precise. Abbiamo creato dei dipartimenti. Quindi ci stiamo organizzando alla vecchia maniera. Non credo al partito di plastica, alla piattaforma Rousseau e al partito spot, credo ai consiglieri comunali e regionali». I maliziosi ovviamente già prevedono che la segreteria sarà semplicemente un’estensione del leader e che, come spesso accade, sarà formata da suoi fedelissimi.

Insomma tutto cambia perché nulla cambi. Ma sarà difficile per Salvini, soprattutto in questa fase, ignorare chi, come Luca Zaia, ha dimostrato di avere in termini di consensi una capacità attrattiva personale ben superiore a quella della Lega. Che ruolo avrà il presidente del Veneto nel nuovo partito organizzato alla «vecchia maniera»? E che ruolo avrà Giancarlo Giorgetti che si è smarcato dalla linea ufficiale del leader dichiarando che avrebbe votato No al referendum e che ieri, in un retroscena molto dettagliato e informato del Corriere della sera, veniva accreditato come il regista di una svolta europeista della Lega?

Certo entrambi, da tempo, vengono indicati come i principali avversari di Salvini, pronti a toglierli la leadership del partito alla prima occasione utile. Entrambi però, forse per eccesso di prudenza, forse perché bloccati dai numeri dei sondaggi e dai risultati elettorali, sono rimasti fermi, bloccati nell’ombra. Chissà se ora avranno il coraggio di andare fino in fondo. Chissà se avranno la forza di avviare il percorso che porterà al post-Salvini. O se, come in un famoso film, quando si troveranno davanti al leader, torneranno a gridare «Capitano, mio Capitano».

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