Come accade spesso, i primi a denigrare un’iniziativa italiana sono proprio i commentatori italiani. E’ il caso della proposta italiana di pace per la guerra in Ucraina: si dice che non esiste, che non è stata comunicata ai protagonisti (il perché poi quegli stessi la starebbero discutendo non si spiega), che non c’è accordo nel governo su di essa o che i media stranieri non ne parlano abbastanza. Quest’ultima è un’osservazione talmente provinciale da commentarsi da sé. Ma guardiamo ai fatti.

La proposta italiana esiste altrimenti il segretario generale delle Nazioni Unite non l’avrebbe commentata. Chi conosce anche solo un poco come funzionano le cose al palazzo di vetro, saprebbe che ogni documento importante che la segreteria generale riceve viene comunicato ai cossiddetti P5, cioè ai membri permanenti del consiglio di sicurezza.

In altre parole: i russi sono stati informati, direttamente e via Onu. Anche gli ucraini lo sono stati (altrimenti avrebbero denunciato la mancanza) sia direttamente che dai membri del consiglio di sicurezza che li sostengono.

Forse l’equivoco risiede nel credere che una tale proposta non possa essere breve, come sintetizzato dalle poche righe uscite su La Repubblica: che si debba cioè trattare di un lungo e dettagliato documento in assenza del quale la proposta, per l’appunto, non esiste. Non è così.

Quando si è di fronte ad una guerra, alle prese con il tentativo di fermarla, non si scrive molto: più si scrive e più si rischia l’errore.

Arrivare davanti a due contendenti con un documento dettagliato è l’errore classico che (purtroppo) si commette spesso e che non è stato compiuto dalla Farnesina.

Scrivere tanto significherebbe mancare di rispetto alle due parti: sono loro le vere protagoniste di un accordo.

Ci si limita all’essenziale: all’approccio ed a alcune idee. Non si può imporre qualcosa che va costruito con pazienza: come ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio «la pace non si impone». Aggiungerei: la pace si compone, pezzo dopo pezzo.

Serve molto ancora: tale delicatissima questione non potrà mai essere in fase con i tempi dei media che vivono di presentismo e pretendono soluzioni in tempo reale. Dare la trattativa per morta già ora è tipico della velocità mediatica: o una cosa si fa subito o non esiste. Oppure, peggio ancora, è una deriva di chi non la vuole.

Certo, la proposta italiana potrebbe fallire ma è troppo presto per dirlo. Il negoziato è un serpente marino che si inabissa e riappare solo ogni tanto.

Ora inizia il vero lavoro, quello che non si vede. Anche quello svolto dai turchi non è fallito completamente: infatti il presidente del Consiglio Mario Draghi ne parlerà con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan a inizio luglio. Le sequenze saranno lunghe: umanamente ce ne dobbiamo dolere perché ciò significa ancora molte vittime. Ma dal punto di vista diplomatico questa è la via e questi sono i tempi. 

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