La difesa comune europea non è figlia di emozioni volatili e vaghe, e neppure corrisponde a un’Europa disarmata. Questa narrativa è probabilmente funzionale al piano di disarcionare Elly Schlein. Ma non rappresenta correttamente il progetto di una difesa comune europea.

La differenza tra progettare questa difesa e armare gli stati singoli non è tra disarmo e riarmo, ma tra modi di riarmarsi. Due modelli di Europa si confrontano in questi incredibili tonfi nella retorica di un passato che ritorna. La creazione di un clima di paura fa buon gioco ovviamente – come non essere dalla parte della sopravvivenza? Eppure, noi non ci troviamo nella sala d’attesa di una guerra hobbesiana. A chi giova questo mulinello di sabbia che fa scomparire i contorni delle cose?

Probabilmente giova a chi ha solidi interessi economici e finanziari e sa di poter lucrare sulla paura che i cucinieri dell’opinione stanno preparando con le spezie giuste. L’identificazione del progetto di difesa comune europea con il disarmo – perché così viene presentata la posizione di Schlein – è una storpiatura.

Alimentare la paura

Il valore del Libro bianco sul futuro della Difesa europea su cui la scorsa settimana si è espresso il parlamento europeo esprimendo il proprio sostegno anche al piano ReArm Europe, starebbe, così si legge, nel porci di fronte alla realtà: non c’è tempo da perdere.

Sì, c’è ancora l’ombrellone della Nato, ma meglio dotarsi anche di ombrellini autonomi. Non si può rischiare lo smantellamento della Nato (che comunque non avverrà). E quindi, meglio aggiungere alle basi Nato anche le basi di ReArm Eu.

La scorciatoia è servita: si alimenta uno stato di paura per giustificare un’emergenza. Si potrebbe operare con più saggezza e anche con più competenza se si cercasse di mettere al centro l’Unione non i suoi 27 stati – una soluzione, questa sì irrealistica, se si pensa davvero in termini di guerra e di pace. La via confederata è la scorciatoia che non fa bene né all’Europa né alla nostra sicurezza.

ReArm Pd

Lo ha scritto con chiarezza Il Giornale, che ha definito il Manifesto di Ventotene un testo che «non ha più niente di attuale. Rischia di proporsi come una sorta d’ideologia in sostituzione di quelle che la storia si è incaricata di sconfiggere. Oggi, insomma, non si può essere, al contempo, europeisti e pacifisti».

È questa la sostituzione ideologica che quel voto di astensione di metà Pd ha messo a nudo e criticato. Insieme al ReArm Eu va quindi in scena di ReArm Pd – l’assalto alla segreteria e alla sua leader è gemellato alla lettura del riarmo degli stati europei.

Un riarmo che servirà a dare ossigeno prima di tutto all’economia civile, oggi in crisi. Ci sono buone ragioni per sentirsi timorosi se l’Europa si converte alla logica riarmo-benessere. L’Europa di Ventotene, diciamolo senza peli sulla lingua, è stata sempre sulle scatole agli americani e ai sovietici (e poi ai russi), con la sua pretesa di edificare un capitalismo non arrabbiato e una democrazia sociale giusta, di credere che l’uno e l’altra fossero possibili, insieme a una difesa comune. E oggi, quell’Europa sta sulle scatole a parecchi realisti duri e puri.

Che traducono la questione della difesa europea in una logica binaria – “o/o”. Così tutto diventa facile e capace di giustificare le scorciatoie di decisioni che non ammettono dissenso, e, anzi, discussione. La logica binaria non consente sfumature, e come quella emergenziale non ammette “astensioni”.

Ma l’astensione, contrariamente all’opposizione, è e vuole essere un invito alla riflessione. Diceva Albert O. Hirschman che la logica binaria è di quelle che non consentono riflessione critica ponderata – alimenta l’ansia da decisione ed è una ricetta per le peggiori non le migliori decisioni.

Fermare questa logica senza fermare il processo di costruzione di una difesa comune europea. Senza scorciatoie. Perché certo, per difendersi occorre armarsi – non si fanno scudi protettivi con i rosari, direbbe Machiavelli. Ma la costruzione della difesa è un progetto politico, prima di essere militare e finanziario. Ha fatto bene quella parte del Pd che si è astenuta, che ha proposto e chiesto di discutere, di far discutere; che ha seminato il dubbio nelle retoriche facili facili del si/si no/no.

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