Roberto Morrione, il giornalista scomparso dieci anni fa e a cui è intitolato il premio che si assegna in questi giorni a Torino, aveva ben chiaro il terreno della sfida per tutta l’informazione, tanto da anticipare problemi che sarebbero diventati fondamentali.

Da un lato la difesa del cuore dello specifico linguaggio giornalistico, che è quello dell’inchiesta (da capocronista e poi direttore Morrione affrontò scontri durissimi per affermare questa identità); dall’altro il tema delle nuove piattaforme di distribuzione (nel quale si impegnò moltissimo fondando Rai News e poi Libera Informazione). Linguaggio e Piattaforme: non sono esattamente il campo con cui si misura oggi l’informazione di qualità, quello sul quale si deciderà il suo futuro?

Anche da questo punto di vista la pandemia è stato un drammatico acceleratore. In primo luogo, perché ha reso popolari, persino tra utenti e generazioni finora digitalmente arretrate, nuove piattaforme di distribuzione e socializzazione dell’informazione.

Ma soprattutto perché ha rilanciato, anche come reazione e antidoto al dilagare (non solo in quelle piattaforme, per la verità) di manipolazioni e falsificazioni, il bisogno di una informazione che ispiri invece credibilità e fiducia. Questione che non riguarda solo il Servizio Pubblico ma che per la Rai, l’azienda nella quale Roberto Morrione trascorse grandissima parte della sua vita professionale, è cruciale.

Negli incontri che al Circolo dei Lettori come ogni anno accompagnano l’assegnazione del Premio (il cui programma completo è consultabile sul sito www.premiorobertomorrione.it) e nella serata finale nel nuovo hub di Ogr Torino, la parola chiave sarà transizione.

Cosa accade al termine della notte, per riprendere la frase (metà omaggio a Céline, metà auspicio di una nuova normalità) che quest’anno campeggia nel manifesto del premio? Accade che l’intero paesaggio sociale appare trasformato, e raccontarlo è ancora più complesso e però necessario.

Si parlerà dunque di transizione ecologica e transizione digitale, formule che hanno già trovato spazio nel dibattito politico. Ma non si potrà trascurare la transizione dell’informazione, il cambiamento di stato che era già in atto e che tutto quello che è accaduto in questi mesi rende inevitabile. Quali forme assumerà? A quali condizioni è possibile rilanciare i valori della buona informazione, quella che non solo rafforza la credibilità dei suoi media ma contribuisce a una convivenza pubblica più aperta e consapevole?

Qualche riposta arriverà dai lavori che si disputeranno il premio, riservato a progetti di inchiesta i cui autori non abbiano ancora compiuto trent’anni. E dunque da sempre osservatorio prezioso per capire dove guardano e come lavorano i nuovi operatori dell’informazione (dal 2011 a oggi sono stati 1117 i partecipanti con 667 progetti presentati e 37 inchieste realizzate: accanto al riconoscimento economico, il premio mette a disposizioni tutor e collaborazioni per portare a termine i progetti).

I finalisti 2021 hanno scelto temi diversi (la repressione di Erdogan, la morte del reporter Antonio Russo, i finanziamenti alla Tunisia, le ombre della luminosa Maremma, la resistenza civica in Basilicata), segno di curiosità e competenze vaste. Ma soprattutto hanno moltiplicato le forme (non solo le tradizionali videoinchieste ma anche podcast e persino un “progetto multimediale itinerante”) e intrecciato registri diversi, ponendosi inevitabilmente il problema della diffusione. Insomma, linguaggio e piattaforme: esattamente le sfide che aveva già immaginato Roberto Morrione.

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