Nel mese di ottobre 2020 l’Istat ha pubblicato molti dati, per ultimi quelli sul Pil e sull’occupazione, che meritano una lettura ed un’analisi incrociata.

Il primo elemento chiaramente riscontrabile è come la tutela della salute sia elemento decisivo in sé, ma anche per l’andamento dell’economia.

In Italia, durante il periodo estivo, la curva del contagio, è stata migliore di altri paesi europei e i risultati sono visibili anche nei principali indicatori economici comparati con quelli dell’eurozona. Fondamentale è stato il ruolo di una ritrovata fiducia per le ricadute sia sull’andamento dei consumi che della produzione.

La stima preliminare del Pil del terzo trimestre conferma questa tendenza, anche in modo leggermente superiore alle attese e la variazione acquisita per il 2020 è pari al -8,2 per cento. A questo punto, le stime del -9 per cento di Pil su base annua o l’avverarsi di previsioni più pessimistiche connesse alla ripresa dei contagi, sono collegate all’andamento del quarto trimestre che, come è noto, ha importante effetto di trascinamento sull’anno successivo.

La crescita economica non scarica però tutte le sue potenzialità sull’occupazione, infatti sulla base di un aumento del 16,1 per cento di Pil trimestrale, l’aumento degli occupati dovrebbe essere più ampio.

Nel terzo trimestre 2020 l’occupazione ha un parziale recupero rispetto a quello precedente di +113mila unità. Ovviamente è solo attutito il disastro occupazionale provocato nei primi mesi dell’anno dalla pandemia perché – su base annua – mancano ancora 367mila occupati, quasi tutti in calo da febbraio 2020.

A settembre però questo recupero già rallenta rispetto ai due mesi precedenti, non è un buon segnale e testimonia le paure e l’effetto attesa che riguarda le scelte di molte aziende.

Non è solo la quantità, ma anche la qualità della nostra occupazione che peggiora e non solo per la crisi pandemica: troppi precari e part time involontari, maggiore addensamento nelle qualifiche professionali più basse, salari decisamente inferiori ai principali paesi europei comparabili con noi.

Un riferimento significativo a questo proposito può essere rappresentato dal confronto con settembre del 2008, l’anno dell’avvio della precedente crisi finanziaria. I dipendenti erano circa 560mila in meno ma l’aumento in questi dodici anni è stato fatto praticamente di contratti a termine (+400mila), una quota che aumenterà ancora nel raffronto con i prossimi mesi.

La situazione sanitaria è adesso in drastico peggioramento e decisivo per l’andamento del 2020 sarà l’ultimo trimestre, in cui la pandemia, fortemente risalita, produrrà nuovi effetti negativi.

E’ adesso che lo sforzo principale deve essere sviluppato perché non si manifesti un pericolosissimo ritorno indietro.

La priorità è quella della tutela della salute, ma saranno importanti anche conseguenti scelte economiche e di investimento, risorse per i consumi, occupazione: gli elementi fondamentali per dare fiducia alle persone, come elemento essenziale per il futuro.

Saranno quindi decisivi, in attesa dell’avvio dei progetti legati al recovery fund, le decisioni di contrasto al diffondersi dell’epidemia che saranno adottate, il pieno e concreto dispiegarsi di tutti gli effetti dei decreti fino ad ora approvati e le scelte della futura legge di bilancio.

Servono ora iniziative di sviluppo immediatamente cantierabili, in particolare in questa fase, legati alla sanità e al welfare, utilizzando le risorse nazionali ed europee già disponibili, dare ristoro ad una popolazione che si è fortemente impoverita, non solo attraverso norme temporanee di sostegno ma con una riforma fiscale fortemente progressiva e rinnovando contratti collettivi nazionali  da troppo tempo scaduti che avrebbero anche un importante e positivo impatto sui consumi e quindi sulla produzione.

Devono essere messe in campo tutte le tutele necessarie dell’occupazione, a partire da ammortizzatori sociali e blocco dei licenziamenti che devono essere confermati ed estesi a chi ne è ancora sprovvisto.

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