Qualche settimana fa la commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato, in prima lettura, una modifica all’articolo 9 della Costituzione disponendo che «la Repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni». Visto che la legislatura dovrebbe concludersi a marzo 2023, i tempi per completare l’iter di approvazione ci sarebbero tutti. Tuttavia, questa è una delle numerose proposte di modifica all’esame delle camere, tra cui si segnala quella di abbassare a 18 anni l’età per votare al Senato, giunta alla terza lettura (su quattro).

Record

Dopo il fallimento delle revisioni costituzionali del governo Berlusconi nel 2005 e del governo Renzi nel 2016, l’attuale legislatura ha battuto tutti i record in termini di proposte di modifica della Costituzione: dal 2018 a oggi ne sono state presentate ben 247 (circa il 30 per cento in più dello stesso periodo nelle precedenti legislature). D’altronde questa è una legislatura per certi versi “costituente” se si pensa che l’attuale parlamento è riuscito ad approvare la riduzione del numero dei parlamentari, così dimostrando di avere la forza politica – e non solo numerica – di “mettere mano” alla Costituzione.

Settimanalmente fioccano le proposte di modifica costituzionale per inserire espliciti riferimenti allo sport, agli animali, ai giovani, agli anziani, alla privacy, ai ladini, eccetera. Si tenta così di “scaricare” sulla Costituzione ciò che non si è in grado di fare con legge ordinaria: d’altronde, negli ultimi vent’anni, il numero di leggi “a scoppio ritardato” – cioè che richiedono l’approvazione di decreti attuativi per essere davvero efficaci – è aumentato in modo esponenziale fino a trasformare questi atti imperativi in generiche manifesti d’intenti privi, spesso, di forza giuridica. Si pensi che le leggi approvate solo in questa legislatura hanno rinviato a 1.772 decreti molti dei quali ancora in lavorazione, o al fatto che solo il 51 per cento delle misure economiche introdotte nei decreti legge “Covid” sono auto-applicative mentre il restante 49 per cento necessita di decreti attuativi.

Il continuo ricorso a leggi “a scoppio ritardato” ha indotto molti parlamentari a trasformare la Costituzione nel loro terreno di gioco, sperando che l’inserimento nella Carta fondamentale di un certo principio possa, in qualche modo, imporre al governo di assicurare tempi certi per l’attuazione delle leggi ordinarie che a quel principio si riferiscono. Con ciò ignorando che la Costituzione è purtroppo il primo atto normativo a restare in parte ancora inattuato (si pensi al principio di uguaglianza e di non discriminazione, al diritto al lavoro, alla parità retributiva tra uomini e donne, al giusto processo, alla regolamentazione di partiti e sindacati, per citare alcuni casi evidenti di inattuazione).

Tra le riforme proposte ve ne è una, però, che sembra avere una sua logica. Qualche giorno fa il vicepresidente dei deputati di Forza Italia, Simone Baldelli, in una intervista a Repubblica, ha espresso la volontà di rivedere il sistema bicamerale: piuttosto che avere due piccole camere, sostanzialmente identiche – dice Baldelli poi ripreso da Luciano Violante – meglio averne una sola, forte, autorevole, consistente. Questo nuovo modello monocamerale manterrebbe, però, il doppio esame per i disegni di legge, da parte della stessa camera ovviamente, con un tempo minimo tra prima e seconda lettura, così da consentire quel “diritto al ripensamento” che rappresenta l’unico aspetto virtuoso di un sistema bicamerale. Senz’altro la proposta avrebbe senso se si considera che, qualora fosse approvato l’abbassamento dell’età per l’elezione dei senatori, verrebbe meno anche l’ultima differenziazione tra Camera e Senato e non si capirebbe il senso di avere due camere totalmente identiche nelle loro funzioni ma diverse solo per il numero dei componenti.

Che qualche ritocco costituzionale sia possibile lo confermano anche le recenti dichiarazioni di Enrico Letta secondo il quale occorre ripensare al meccanismo di fiducia tra parlamento e governo così da riportare il cittadino a essere arbitro della politica, e le prese di posizione di Luigi Di Maio che già a settembre 2020 rilanciava un asse con Dario Franceschini per alcune riforme puntuali volte a rendere più efficiente l’organizzazione pubblica.

Il grande Barnum delle riforme costituzionali sembra, quindi, appena iniziato. Stavolta, forse, è un bene.

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