«Sono trascorsi due mesi dal 7 ottobre e non possiamo perdere un solo giorno per chiedere il ritorno alla tregua e un cessate il fuoco umanitario che consenta la liberazione incondizionata di tutti gli ostaggi e di fermare l’ecatombe». Peppe Provenzano, ex ministro, oggi responsabile esteri del Pd, è appena rientrato da una missione dei socialisti europei in Medioriente. Ha incontrato il presidente israeliano Herzog, il primo ministro palestinese, la sinistra israeliana, Fatah e Mustafa Barghuti, i pacifisti, le famiglie degli ostaggi, i sopravvissuti dei kibbutz, gli universitari cisgiordani e il patriarca di Gerusalemme Cardinale Pizzaballa.

Il segretario Onu Guterres invoca l’art.99 della Carta, chiede una tregua. Hamas lo ascolterà?

La richiesta di tregua è per Hamas e per Israele. A Gaza non si compie solo una catastrofe e una violazione del diritto internazionale, ma anche l’errore politico di appannare la differenza fra legittima difesa di uno stato e punizione collettiva di un popolo. Non dimenticherò mai quello che ho visto nel kibbuz di Be'eri. A una certa sinistra voglio dire che quell’infame attacco non è stato al grido «Free Palestine» ma a quello «Allah u’Akbar». A Be’eri il socialismo lo praticavano, erano pacifisti e portavano gli aiuti a Gaza. Per fortuna c’è ancora chi pensa che un processo di pace sia possibile. Non dobbiamo lasciarli soli.

Ma l'Onu, che dà il Forum dei diritti umani all'Iran, è credibile?

L'Onu è lo specchio del disordine globale, ma le istituzioni si riformano, non si delegittimano. Senza l’Onu oggi ci sarebbe solo la legge della giungla. Servono organizzazioni terze che accertino le violazione del diritto internazionale, quello in nome del quale ci siamo schierati con l’Ucraina invasa.

Dopo il 7 ottobre si può chiedere a Israele di smettere di difendersi?

Il diritto di difesa, che abbiamo riconosciuto dal primo giorno, andava esercitato nel rispetto del diritto internazionale. 15mila morti, di cui 6mila bambini, gli ospedali e le scuole distrutte: è una catastrofe umanitaria. La popolazione palestinese non è Hamas. Prima del 7 ottobre il consenso di Hamas era ai minimi storici. Nessuno chiede di smettere di combattere Hamas: anzi, è un’organizzazione terroristica, il compito di combatterla è dell’intera comunità internazionale.

Ma Hamas usa ospedali e scuole come scudo e rifugio. E Israele è ancora sotto attacco.

La tregua serve per fermare la strage e liberare gli ostaggi. Ma non significa rinunciare a combattere il terrorismo con operazioni di polizia mirate, che la comunità internazionale deve garantire. Il terrorismo non è stato mai sconfitto solo con la forza. Ecco perché è il momento di tornare alla politica. E la tregua ne è la condizione. Fra la collera di Israele e la disperazione della Palestina rischiamo l’escalation del conflitto. Stasera (ieri, ndr) una manifestazione l’ultradestra nazionalista a Gerusalemme passa nel quartiere musulmano: rischia di infiammare l’intera regione. Hamas e la destra israeliana prima si sono reciprocamente rafforzati e ora impediscono il processo di pace. La comunità internazionale deve riprendere il percorso verso “due popoli, due stati”.

Che ormai è solo un'invocazione.

Se questa soluzione è difficile, tutto il resto è irrealistico. L’Autorità nazionale palestinese è delegittimata ma non c’è alternativa a provare a farla funzionare. I coloni che umiliano i palestinesi della Cisgiordania non devono rimanere impuniti. Il segretario di Stato Usa Blinken ha annunciato sanzioni per questi coloni. Dobbiamo farlo anche noi, Italia e Ue. Ma dei “due stati” uno ancora non c’è. Per questo, nell’ambito di una conferenza internazionale di pace, dobbiamo sostenere il riconoscimento dello stato di Palestina.

Riconoscerlo oggi?

Il parlamento italiano l'aveva approvato nel 2015. È ora che dobbiamo spingere sul processo di pace, ma il governo italiano non sta facendo abbastanza. Noi del Pd dall’indomani del 7 ottobre siamo stati unitari, abbiamo apprezzato alcune posizioni di Antonio Tajani e Guido Crosetto. Ma la premier Meloni è sparita. La sua amicizia con Netanyahu la carica di una responsabilità in più: oggi lei ha il dovere di parlare chiaro al suo amico Netanyahu. E l’Italia, forte della sua tradizione diplomatica e della credibilità acquisita ad esempio in Libano, può fare molto: dobbiamo proporre una missione di pace a Gaza, con il protagonismo anche dei paesi arabi che possono giocare un ruolo nella ricostruzione della Striscia. L’Autorità palestinese non sarà legittimata arrivando a Gaza sui tank israeliani.

E su quelli americani?

La proposta è una forza multinazionale di interposizione, con il mondo arabo che deve assumersi la sua responsabilità sulla Palestina, e anche nei confronti del pieno diritti di esistere di Israele, garantita anch’essa dalle risoluzioni dell'Onu. Oggi è il tempo di lavorare alla pace: altrimenti il sedimento di odio che si sta accumulando sotto le macerie di Gaza la renderà una prospettiva impossibile. La mia non è solo speranza. Dopo la guerra dello Yom Kippur ci sono stati gli accordi con l’Egitto, dopo la prima Intifada ci sono stati gli accordi di Oslo.

Anche la ventata di antisemitismo mina l’esistenza di Israele.

Sradicare l’antisemitismo deve essere il compito di tutti noi, di un’Europa che rinasce dalla lotta contro l’abisso del nazifascismo. Ed è nel nostro Dna, non in quello degli eredi di Almirante. Per questo ha fatto bene Elly Schlein a partecipare alla manifestazione di martedì a Roma. Combattiamo tutte le forme di suprematismo, e dunque anche l’islamofobia. E la prospettiva dello scontro di civiltà su cui soffia un pezzo della destra, e in Italia purtroppo il vicepremier Salvini.

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