L’informativa del presidente del Consiglio, Mario Draghi, alle Camere è passata senza che si materializzassero i temuti rischi per la tenuta del governo. Tanto rumore per nulla: l’idea di una nuova risoluzione per interrompere l’invio di armi all’Ucraina o sottoporre ogni nuovo invio all’approvazione del parlamento era priva di fondamento in punto di diritto.

Il metodo della delega 

Nel luglio del 2020 scrivevamo su queste pagine che, aperta la strada ai Dpcm per la gestione della pandemia, con il conferimento di estesi poteri al vertice dell’esecutivo, tale metodo si sarebbe potuto ripetere in futuro per qualunque situazione reputata critica. E così è stato con l’emergenza della guerra.

Dopo l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, il governo ha emanato due decreti legge.

Con il primo, è stata deliberata la fornitura di strumenti “non letali” al Paese aggredito; con il secondo, è stato disposto l’invio all’Ucraina di «mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari» fino al 31 dicembre 2022, rimettendo la decisione del materiale bellico oggetto della cessione al ministro della Difesa, con decreto interministeriale, unitamente ai ministri degli Esteri e dell’Economia.

Tale invio è stato autorizzato «previo atto di indirizzo delle Camere» e in deroga a quanto previsto dalla legge che regola le esportazioni di armi (n. 185/1990).

L’atto di indirizzo è stato deliberato il primo marzo. Camera e Senato hanno, infatti, approvato a larga maggioranza una risoluzione (rispettivamente n. 6-00207  e  n. 6-00208) che impegna il governo a una serie di azioni per consentire all’Ucraina di «esercitare il proprio diritto alla legittima difesa» e di «proteggere» la propria popolazione.

In pandemia, decreti-legge del governo, convertiti dal Parlamento, delegavano il presidente del Consiglio a limitare libertà e diritti con proprio decreto - il Dpcm - al fine di contrastare la diffusione del Covid-19; parimenti, oggi un decreto-legge autorizza il ministro della Difesa a decidere, sempre con proprio decreto, l’invio di armi per sostenere la difesa dell’Ucraina.

In entrambi i casi il parlamento ha conferito un ampio mandato all’esecutivo a gestire situazioni critiche mediante atti amministrativi.

Non si pongono problemi di legittimità, ma è palese la marginalizzazione delle Camere.

Il ruolo del parlamento

11 March 2022, Poland, Medyka: Oleg Koval is standing at the border crossing between Poland and Ukraine. He wants to go back to Ukraine to fight against the Russian troops. Russian troops invaded Ukraine on February 24. (to dpa "Ukraine returnees: fighters, vacationers and desperate") Photo by: Sebastian Gollnow/picture-alliance/dpa/AP Images

L’idea del Movimento Cinque stelle di proporre, in occasione dell’informativa di Draghi, una nuova risoluzione che prevedesse l’interruzione dell’invio di armi o il condizionamento delle decisioni del governo sull'invio di armi a un voto parlamentare ha rappresentato un tentativo maldestro di ribaltare il tavolo che esso stesso aveva apparecchiato.

Infatti, il Movimento aveva concorso a votare, da un lato, la citata risoluzione parlamentare che dal mese di marzo consente al governo, tra l’altro, «la cessione di apparati e strumenti militari» all’Ucraina, a condizione di tenere «costantemente informato il Parlamento» e di agire «in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati»; dall’altro lato, la legge di conversione dei due decreti sopra indicati (n. 28/2022), approvando così l’invio di armi fino a fine anno, con la relativa delega al ministro della Difesa, come detto.

Tentativo maldestro, perché le condizioni previste dalla risoluzione sono state rispettate, e di certo non si poteva modificare la legge che dà copertura normativa alla consegna di materiale bellico attraverso una nuova risoluzione parlamentare.

Sarebbe bastato non approvare una delega normativa così ampia, e basterebbe modificarla mediante una nuova legge, se ritenuta non più adeguata. Ma gli slogan sono preferiti al diritto.

Peraltro, il parlamento ha dato al governo una delega all’invio di materiale non solo molto ampia, ma  al buio, cioè senza nemmeno poter conoscere l’oggetto dell’invio. L’elenco delle armi, infatti, è segretato.

Il primo decreto del ministero della Difesa è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 2 marzo, il secondo il 27 aprile, il terzo il 10 maggio.

Nella sezione “Allegato” di questi decreti si omette la lista del materiale da mandare «in quanto documento classificato».

Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) ha confermato la necessità della segretazione, dopo l’audizione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.

Nel parallelismo tra pandemia e guerra, oltre all’identità del meccanismo che conferisce a un esponente dell’esecutivo il potere di assumere decisioni rilevanti con un atto amministrativo, c’è un ulteriore elemento coincidente: l’opacità.

In pandemia, abbiamo più volte lamentato la scarsa trasparenza delle decisioni assunte via Dpcm, riguardo a parametri scientifici e dati granulari in base ai quali le decisioni stesse venivano assunte; e così in guerra non è dato conoscere né le armi inviate né, di conseguenza, le scelte sottostanti a tale invio.

L’informazione fornita al Copasir dal ministro della Difesa circa i materiali ceduti non può ritenersi sufficiente a consentire al parlamento di esercitare un controllo idoneo ed esaustivo sull’azione del governo, se - come diceva Norberto Bobbio - la democrazia è «il potere del pubblico in pubblico».

L’informativa

Nella risoluzione di Camera e Senato adottata nel marzo scorso, il governo si impegnava a tenere «costantemente informato il parlamento» circa «la cessione di apparati e strumenti militari». E nella legge di conversione del decreto sull’invio di armi si prevede un’informativa almeno trimestrale alle Camere da parte del ministro della Difesa.

Con la nuova risoluzione, su cui si è raggiunto l’accordo nei giorni scorsi, il governo dovrà «continuare a garantire secondo quanto previsto dal decreto legge 14/2022 il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere, con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari». Com’è palese, non cambia molto rispetto al testo adottato a marzo.

Il coinvolgimento del parlamento resta quello sancito dalla più volte citata legge, richiamata in via espressa. Mentre l’obbligo del governo di riferire al parlamento in occasione di deliberazioni rilevanti in sede di Unione europea era già previsto (n. 234/2012).

La nuova risoluzione, dunque, non dispone aggiunte rilevanti rispetto a quanto già previsto, né conferisce al parlamento poteri di intervento.

Peraltro non avrebbe potuto farlo, data la copertura legislativa già esistente fino a fine anno. Il diritto non è una “fisima”. Ma evidentemente c’è chi continua a pensarlo.

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