Non ne posso più. La misura è colma, il vaso è pieno ed anche la vaschetta con i pesci rossi sta per traboccare.

Giunta alla fine della settimana mi sento affaticata, confusa, sfinita, come quando vai a fare un’escursione in montagna e arranchi, con il fiatone, mentre i tuoi compagni di camminata proseguono a salire, felici e pieni di energia, e tu stai ad un passo dalla morte. Ecco. Così mi sento alla fine di una settimana di pubblica indignazione. E succede ogni settimana.
Mi sveglio sempre con un umore sereno variabile- con buona pace di Giuliacci- e commetto sempre l’errore di aprire internet pochi minuti dopo essermi svegliata, il che significa iniziare ad incazzarsi subito.

Un giorno è per l’affair Greta Baccaglia, la giornalista molestata.

Mi indigno per la normalizzazione delle violenze, insieme ad altri milioni di indignati, e siamo tutti lì, ad indignarci, con le fronti corrucciate, dalla tazza dei nostri bagni, mentre commentiamo “non è giusto, vergogna!”.

Mi indigno il giorno dopo per il giornalista che dallo studio le ha detto di “non prendersela”.

Dopo 23 ore mi indigno per l’indignazione verso il giornalista in studio, perché ha ricevuto una shitstorm, e la shitstorm mi indigna sempre, anche se mi ha indignato pure quello che ha detto chi la riceve.

Dopodiché mi indigno perché le donne nel giornalismo sportivo sono sempre mezze nude, e questo è colpa del patriarcato, e il patriarcato indigna sempre.

Il giorno successivo, quando la precedente rabbia stava per affievolirsi mi sveglio e mi indigno per lo spot del Parmigiano Reggiano, per il povero Renatino e tutto quello che rappresenta, vado a letto indignata, e sogno mandrie di mucche indignate perché nessuno si indigna per loro.

Neanche 24 ore e qualcuno mi fa notare che se ci si indigna per lo spot di Parmigiano Reggiano allora bisognerebbe indignarsi anche per lo spot di Amazon, che ridicolizza i lavoratori migranti.

Allora vado a recuperare quello spot e passo mezzo pomeriggio ad indignarmi del fatto che in quel caso nessuno si sia indignato abbastanza.

Mi sveglio sfinita l’indomani e cerco qualcosa per cui indignarmi ma non lo trovo.

“Cosa succede?” mi chiedo turbata. Allora mi indigno perché probabilmente qualcuno sta nascondendo qualcosa di cui potrei indignarmi.

Cerco meglio e scopro la notizia che l’Italia è il primo Paese in Europa per evasione fiscale. Avevo ragione, figurati se non c’era qualcosa di cui indignarsi.
Allora mi indigno perché va bene vincere tutto nel 2021, però il premio “infamia” ce lo potevamo risparmiare.

In questo vortice di nervosismo e fastidio ripenso alla settimana scorsa, quando mi ero indignata perché qualcuno si era indignato per l’uso eccessivo del romanesco nella serie di Zerocalcare, e penso a quanto poco serva alla gente per indignarsi, e che è assurdo indignarsi per cose del genere.

Voglio dire, se ci indigniamo per così poco, al posto di essere “eccezionale indignazione” sarà semplicemente lo stato d’animo standard con cui ci sveglieremo la mattina.

Non più “sereno variabile”, ma “indignato con turbolenti peggioramenti durante la giornata”.

Allora decido di spegnere tutto, per ventiquattro ore. Pc, tablet, telefono.

Il problema è che dopo quaranta minuti devo controllare se qualcuno mi ha mandato una mail, quindi riaccendo il pc. La mail non mi è arrivata, magari mi hanno scritto su Instagram.
Allora apro Instagram, ed in meno di dieci minuti ricevo un nuovo video su cui elaborerò un’opinione che, al 99 per cento, si potrà riassumere con una indignazione di grado 9 della scala Mercalli sulla scosse di indignazione.

Ora, questo fatto che non ci si possa possa più svegliare tranquilli, e trascorrere un’intera giornata senza incazzarsi come delle bisce punte da un’ape, è davvero ingiusto. Snervante. Sfinente. Lesivo della nostra dignità di essere umani.

É sicuramente qualcosa per cui indignarsi.

Io mi indigno. E tu? 

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