I video non lasciano scampo. Quelli che ha diffuso questo giornale resteranno nel nostro immaginario per la gratuità della ferocia. La sopraffazione fisica, psicologica.

Le violenze riprese dalle telecamere nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, avvenute nell’aprile del 2020 per mano degli agenti penitenziari ai danni dei detenuti, sono di quelle che rimandano ad altre epoche della nostra storia, quando il potere dell’istituzione poteva tutto e il contrario di tutto ai danni del singolo.

Sarebbe bello poterle considerare un incidente di carattere residuale, un anacronismo, ma purtroppo questo non corrisponde alla verità.

Quello che abbiamo visto è qualcos’altro. È l’equivoco di sempre. La confusione del rappresentante dello stato che smarrisce, per autoesaltazione, i confini del suo ruolo. Non più, dunque, agente di un potere che gli viene conferito, ma titolare unico del potere che esercita. Un padre padrone. Capace di un giudizio secondo solo a quello universale.

La violenza che diventa così un atto domestico, fisiologico, capace di obbedire soltanto al cuore di tenebra che la brandisce.

Si dirà: è una lotta fra disperati. Niente figli di papà contro quelli di mamma. La retorica che vuole guardie e ladri in fondo maledettamente simili.

No. Le immagini mostrano altro. Mostrano individui che usano violenza contro altri individui, solo che i primi sono protetti dallo scudo e dal manganello dello stato.

Nel teatro della civiltà, e come giusto che sia in uno stato democratico, molti hanno iniziato a fare il loro dovere: difendere gli indagati. Questa volta sarà un compito davvero gravoso. Altrettanto impegnativo sarà smuovere compassione nei confronti di tutta quella violenza esercitata senza compassione alcuna. Il tempo e un’aula di tribunale metteranno nero su bianco responsabilità e pene.

Ma il portato giudiziario non è il solo, ma uno dei tanti, e forse nemmeno il più rilevante, di questa vicenda.

Quello che molto spesso sfugge a chi rappresenta lo stato è la portata sociale di notizie come questa. Ogni volta che escono testimonianze del genere, il rapporto tra individuo e istituzione si frantuma. Poco importa quale sia l’istituzione.

Il succo resta sempre lo stesso.

Ovvero il terrore di varcare una porta, che sia d’ospedale o carcere, palazzo di giustizia o caserma, e ritrovarsi davanti un individuo convinto di poterci fare qualsiasi cosa, in totale disprezzo della legge, e dello stato e della natura, con la ferma sicurezza che nessuno gli verrà mai a dire niente.

I primi a essere sconvolti da quanto emerso da quei video saranno senz’altro le decine di migliaia di rappresentanti dello stato degni di questo nome, molti di loro di fronte a quelle immagini avranno masticato la stessa rabbia di ogni altra persona per bene.

Sta a loro, a chi presta la propria opera nei luoghi dello stato, ricordare a ognuno di noi che per un episodio come quello accaduto a Santa Maria Capua Vetere rispondono quotidianamente centinaia e centinaia di gesti contrari, dettati dal rispetto della legge e della vita umana. Molti di loro avranno affrontato queste giornate proprio con lo spirito di chi vuole dimostrare che le istituzioni del nostro paese sono un’altra cosa. Non possiamo non crederci.  

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