Qualche giorno fa, Giuseppe Conte ha lanciato un appello per un «summit alternativo» a quello della Nato all’Aia il 24 giugno, per dare voce a «un’altra idea di Europa» e della sua sicurezza.

C’è senza dubbio bisogno urgente di una discussione sulla sicurezza europea, di un dibattito aperto in sede di tutte le istituzioni europee e nazionali, inclusi i nostri parlamenti. E noi come intellettuali europei, come cittadini europei, dobbiamo essere pienamente coinvolti.

Dobbiamo democratizzare, non demonizzare, la discussione sulla sicurezza – perché è una questione esistenziale per tutte e tutti noi. La provocazione di Conte non fa nulla in quella direzione.

Democratizzare il dibattito

Il primo passo per democratizzare la discussione sulla sicurezza è renderci conto che è una questione che ci riguarda direttamente. Da osservatrice parzialmente esterna, il contesto italiano mi pare particolarmente in difficoltà riguardo a ciò.

Qualche settimana fa, il segretario generale della Nato, Mark Rutte, dichiarava che «facciamo tutti parte del fronte orientale oramai». Stando ai sondaggi più recenti, la maggior parte degli italiani non pare aver ancora compiuto quel salto geografico nelle proprie cartografie.

Esiste infatti un divario profondo negli immaginari geopolitici dei europei. Come ha scritto Simon Kuper del Financial Times, chiedere a stati membri come la Spagna o l’Italia di investire nella difesa comune è come chieder loro di contribuire a un piano assicurativo contro gli uragani quando non sono nella traiettoria della tempesta. O almeno non pensano di starci.

E qui sta il divario chiave: nella percezione radicalmente diversa fra europei del Nord, Sud, Est ed Ovest degli uragani incombono sull’Europa.

La mappa dei rischi

Gli immaginari geopolitici hanno sempre una duplice funzione, descrittiva e propositiva. Offrono una mappatura cognitiva del mondo, una cartografia semplificata di dove siano i rischi, dove si trovino buoni e cattivi. Al contempo, però, forniscono anche delle proposte per agire, ci raccontano come affrontare i pericoli del mondo.

Se negli immaginari degli italiani o degli spagnoli il loro vissuto non sta nella traiettoria dell’uragano che incombe, è difficile convincerli a fare i passi necessari per proteggersi dai suoi venti.

Ma i nostri immaginari geopolitici dei pericoli del mondo non esistono in isolamento.

La geografia politica da tempo interroga come le grandi paure globali atterrino nel nostro quotidiano, in che modo noi – come soggetti politici ed economici – comprendiamo gli effetti degli avvenimenti globali sul nostro vissuto: letteralmente, come diamo senso geopolitico al prezzo del pane e della benzina.

Narrative populiste

I movimenti populisti hanno capito benissimo questo nesso, plasmando narrative che legano direttamente sensi di insicurezza domestica (sia economica sia culturale) a scelte geopolitiche.

È dal 2022 che il Movimento 5 Stelle cerca di minare il supporto italiano all’Ucraina presentandolo come un trade-off diretto con spese a favore degli italiani, e come fonte di insicurezza geopolitica.

Come ha recentemente ricordato Dmytro Kuleba, i due pilastri chiave che hanno permesso all’Europa di costruire il suo benessere sono appena venuti a mancare: gas e petrolio russo a basso costo, e l’ombrello di sicurezza Usa. In tale contesto, come possono gli europei assicurare sia la loro sicurezza militare e geopolitica, sia la protezione dei loro diritti economici e sociali? È di questo che dovremo discutere, perché le due (sicurezza militare e interna) sono direttamente legate, seppur i populisti non dipingano così il mondo. 

Esistono già esperimenti virtuosi in questa direzione: in Lituania, ulteriori spese per la difesa sono appena state finanziate come parte di una riforma comprensiva della fiscalità, con una nuova tassazione progressiva su reddito e investimenti. In più, le spese per la difesa, come in altri paesi baltici e nordici, sono state inquadrate in una concezione di difesa totale che comprende resilienza sociale, economica ed ambientale.

Il summit di Conte non offre nessuna alternativa vera. È pura speculazione politica sull’insicurezza degli europei – direi una speculazione molto più cinica di quella dell’industria bellica che accusa.

Luiza Bialasiewicz è professoressa ordinaria di geografia all’Università Ca’Foscari di Venezia

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