Esiste in mezzo a noi, perfino attorno a noi direi, un magma tremendo che si insinua - opaco e senza suono – nella relazione, la quale resta il momento fondativo del nostro essere umani.

E' la cattività dei sentimenti, che degrada lo spazio infinito in cui si può esprimere l'amore alla logica del prigioniero. Qualcosa insomma che stia nelle nostre mani, alla stregua di un bottino, un tesoretto ricco che rimetta il baricentro delle insicurezze laddove si voglia che stia. Se la logica è il possesso la conseguenza è la disponibilità. Se possiedo dispongo.

Anche dell'amore, ridotto ormai a poco più di un ammennicolo: “senza” non ce la facciamo, ma “con” per carità di Dio, ampia com'è la gamma di imprevisti da sopportare per un atto così coraggioso. Il controllo invece toglie il brivido del coraggio - che è sempre sano - e concede la sbornia dell'imposizione - che è sempre malata. Si diventa demiurghi dell'altra persona. Nuovi Prometei, ma dai fuochi fatui.

Non so se sia andata così anche per Giulia Cecchettin, la centocinquesima nostra figlia immolata per mano di un uomo, Filippo Turetta, dai tratti ancora adolescenziali, gli occhi buoni, il viso imberbe, tutto biscotti e bravo ragazzo.

I primi erano quelli che lui preparava per Giulia. Il secondo è ciò che di sé lasciava trasparire.

E qui c'è l'altra cattività del nostro tempo: l'apparenza. Dell'apparenza la superficialità è straordinaria alleata. Non ci facciamo più domande, non ci vogliamo, deliberatamente, più capire niente. Ci va bene quello che appare. E' il grande inganno.

Restiamo in superficie, accettiamo i biscotti, il viso imberbe, i grazie, le scuse, i salutava sempre: va che bravo ragazzo Filippo! E invece, sempre lui, di Giulia aveva fatto bottino. Prima da viva e poi da morta, gettata per cinquanta metri nel canalone di un bosco, dove la muta d'autunno e la prima neve dell'inverno l'avrebbero forse inghiottita in fretta. Possesso in vita. Possesso in morte.

La cattività dell'altro insomma, che non accetta rifiuti anche quando sono resi espliciti, come aveva fatto Giulia con Filippo.

Oltre che inutile – come quella fisica, terminata in Germania – quella di Filippo era una fuga da tutto. E soprattutto dalla realtà. Che non era andata per come il suo maniacale controllo pretendeva sarebbe dovuta andare. Perché il suo, più che un amore, era piuttosto deliberato scempio della volontà di Giulia, menomazione dei suoi no, una forma di cattività doppia e subdola, verso di lei e verso se stesso, uomo non ancora uomo, incapace di gestire l'assenza e la perdita. Violento fino a uccidere per colmare il baratro del rifiuto e sublimare la potenza del controllo. 

Non ci caliamo mai abbastanza dentro i mondi dei tanti Filippo Turetta che sono tra noi e saranno i prossimi, perché purtroppo un prossimo e una prossima ci saranno ancora. Non ci importa il controllo del cellulare dell'altra, i “non puoi lasciarmi”, le improvvisate non gradite alla fermata dell'autobus. E non ci importano neanche quando chi le subisce confida di avere paura.

La cattività dei sentimenti. La cattività dell'apparenza. Ne restiamo invischiati.

Non è solo una questione di educazione all'affettività, che va assolutamente introdotta nelle scuole. Non bastano nemmeno i cortei femministi se gli uomini, i maschi, continueranno a essere i grandi desaparecidos. Il dissenso di piazza e di opinione non porterà al salto di qualità che tutti speriamo se resterà appannaggio solo di un genere, quello delle vittime.

La giustizia consegna un colpevole e stabilisce una pena. 

Ma occorre con urgenza formare gli uomini di domani partendo dai bambini di oggi. Il Codice Rosso non basta più. Serve un'alleanza trasversale tra i partiti e un intervento legislativo che, oltre alle pene, espliciti gli obblighi di un percorso culturale e sociale di cui il Paese necessita.

Una road map per una legge condivisa sull'educazione all'affettività e il rispetto della volontà dell'altro. Quanto sarebbe saggio la proponessero, insieme, le due donne che guidano i due principali partiti di maggioranza e opposizione.        

© Riproduzione riservata