Era l’inizio del 1999, avevo tredici anni: entusiasta della possibilità che Emma Bonino diventasse presidente della Repubblica, iniziai a tenere la sua foto nel portafoglio. Ricordo con precisione il momento in cui la mostrai, in autobus, a un compagno di classe.

Un ritaglio di giornale in bianco e nero, la foto della campagna Emma for President, forse imitando e variando l’abitudine di mio padre a tenere accanto alle banconote e alle carte di credito quella di Mussolini.

Emma Bonino fino a poco tempo prima non sapevo chi fosse: l’avevo chiesto a mio nonno, che una sera, seduti in macchina in attesa che mia nonna finisse di fare la spesa, mi aveva raccontato le sue fiammeggianti imprese politiche di pasionaria radicale, facendola finire di colpo nel mio pantheon tutto al femminile di eroine più o meno reali. Wonder Woman, Madonna, le Spice Girls, Emma Bonino. Un presidente donna, persino a me che di politica ne capivo poco e niente, pareva un meraviglioso cortocircuito, una variabile esotica.

Nonostante il clamore mediatico e l’ottimo riscontro nei sondaggi popolari poi non se ne fece più nulla: a Emma Bonino fu preferito Carlo Azeglio Ciampi.

Ecco, oggi che ci avviciniamo all’elezione del successore di Sergio Mattarella si continua a parlarne più o meno così: prospettiva meravigliosa, variabile esotica paventata dai maschi al potere.

Qualcuno in questi giorni ha sottolineato che sentir dire “eleggiamo una donna”, serve “una donna” è fastidioso. Persino: un insulto. Io credo invece che le forzature nelle situazioni problematiche servano. E noi, in questo paese, dal punto di vista del genere, ci troviamo senza dubbio in una situazione problematica. Petrosa, inamovibile, checché appaia dalla schiuma rappresentata dal chiacchiericcio social.

Dunque c’è da sperare davvero che il nuovo presidente della Repubblica alla fine sarà una donna (sebbene ahimè non Emma Bonino, che giustamente ha detto «il mio turno era vent’anni fa», sfilandosi dall’endorsement fattole da Roberto Saviano), ma soprattutto c’è da sperare che in futuro – il più prossimo possibile – siano donne, anche molte donne di potere, a scegliere una loro collega meritevole di questo e di mille altri ruoli apicali, e che lo scenario di un presidente donna non venga più paventato sempre e solo come suggestiva novità, ipotesi di rottura da parte di un consesso uniforme di maschi in grado di elargire o meno eccezioni.

Quell’adolescente di terza media che teneva la foto di Bonino nel portafoglio sognandone l’elezione poggiava in realtà su una tragedia culturale: quella per cui delle donne ancora oggi si può parlare come di creature altre, variabili fantastiche, chiamate dagli uomini a portare per un po’ colore e vivacità in uno scenario destinato poi a replicare semplicemente sé stesso.

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