Tutto il centro-destra insiste ufficialmente nel candidare Silvio Berlusconi al Quirinale: è di per sé un fatto grave, che come tale va trattato, ben al di là di tatticismi o schermaglie. Per il modo in cui ha fatto uso delle istituzioni e del suo potere, Berlusconi è stato il leader politico che più ha messo in pericolo la democrazia liberale, dopo Donald Trump, in Occidente. E ne ha violato sistematicamente i principi.

Se oggi fosse eletto, lo sarebbe perché incoronato da due leader come Salvini e Meloni che dichiaratamente si rifanno alla democrazia illiberale di Orbàn, a Putin e a Trump. Un tale esito sarebbe uno sfregio alla Repubblica italiana, per ragioni etiche e politiche e naturalmente giudiziarie. Segnerebbe la caduta della nostra istituzione più alta e preziosa, da baluardo di garanzia a strumento di una possibile involuzione illiberale del nostro paese.

Ora, a cogliere i segnali che vi sono in giro, pare un’eventualità improbabile. Il fronte scricchiola, si notano distinguo, segno che i numeri sono difficili. Ma nonostante ciò gli alleati continuano formalmente a sostenerlo, peraltro con certo sprezzo del ridicolo (chiedono a Berlusconi di «sciogliere la riserva fin qui mantenuta», dopo un vertice nella sua residenza).

È un dato che la dice lunga sulla natura del centro-destra che abbiamo in Italia. Aggiunge conferme sulla natura di leader come Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Oltre che sullo stesso Berlusconi, il primo che dovrebbe rendersi conto della situazione e che invece sta costringendo il Paese a questa prova imbarazzante e pericolosa, per noi tutti, davanti al mondo intero – e in un momento del genere.

Il nostro centro-destra conferma così di essere profondamente illiberale, avventuriero e irresponsabile. Come in nessun altro paese dell’Europa occidentale (forse l’unico paragone che regge è ancora quello con gli Stati Uniti, dove i Repubblicani sono ostaggio di Trump).

Il centro-sinistra deve evitare di commettere un errore fatale. Dire: togliete Berlusconi e votiamo un altro nome di centro-destra, che non sia «divisivo». Un esito del genere sarebbe comunque una vittoria per Berlusconi e per tutto il centro-destra, questo centro-destra: vorrebbe dire accettare l’eventualità di Berlusconi come punto di partenza per una trattativa.

Pd e Cinque stelle devono evitare anche l’errore opposto: arroccarsi nell’indignazione. Proporre magari un candidato di bandiera, avallando così l’idea di un’Italia divisa in due in cui ciascuna parte, in fondo, ha diritto di essere legittimata; e andare allo scontro con il rischio di perdere.

Occorre reagire puntando su una figura, di altissimo prestigio, non ascrivibile a nessuno dei due schieramenti e che per questo sia in grado di fare breccia anche fra i grandi elettori perplessi di centro-destra. Una figura in grado di vincere. Senza cedere alla trattativa con chi mette a repentaglio le nostre più alte istituzioni; ma senza immolarsi nella testimonianza.

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