Grande è la confusione sotto il cielo della politica italiana. Per dipanarla, occorre procedere all’inverso di quanto fatto finora. Per il Quirinale non bisogna partire dai nomi, dalle biografie personali (benché sia naturale farlo). Ma dall’interesse nazionale, in questa fase storica.

Il nostro è il tempo della riforma dell’Europa. In merito ci sono già diverse ipotesi. Mario Draghi insieme a Emmanuel Macron ha presentato una proposta fra le più ambiziose, e innovative, che prevede fra l’altro un meccanismo per la messa in comune e la sterilizzazione del debito contratto per Covid.

È un’idea in linea con quella avanzata, a fine ottobre, dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco (di cui su questo giornale fummo fra i pochi a parlare). Un anno prima il tema era stato sollevato già dal presidente del parlamento europeo David Sassoli (ricevendo allora le critiche di molti che ora plaudono alla proposta di Draghi e Macron: i tempi cambiano, ed è un bene).

Né questa è l’unica ipotesi sul tavolo. C’è quella soprattutto tedesca da scorporare dal patto di stabilità gli investimenti «green»; c’è la proposta del commissario europeo Gentiloni di considerare soglie del debito differenziate fra i paesi.

Insieme al «cosa», c’è poi il problema del «come» riformare l’Europa, di fronte allo scoglio dell’unanimità: c’è chi si limita a proporre un’interpretazione più ampia possibile degli attuali trattati, c’è chi (e fra questi Giuliano Amato, Romano Prodi) pensa invece a un’Europa a due velocità, con un nucleo di paesi centrali che faccia da guida. Questa sembra l’ipotesi più probabile, realistica e a un tempo ambiziosa, e in fondo anche la proposta di Draghi e Macron si muove in questa logica.

È evidente che in questa partita, e ancora più con una tale configurazione, l’Italia deve essere protagonista. Ne va del nostro interesse nazionale, per motivi ovvi (la ripresa dell’inflazione e il nostro enorme debito pubblico) e altri meno ovvi (un’Italia ai margini dell’Europa, nel mondo di oggi, non è più sovrana ma meno sovrana). Abbiamo bisogno per questo di un assetto politico, fra presidenza della Repubblica e governo, saldamente europeista.

Se questo è l’interesse del paese, allora la rosa dei papabili per il Quirinale si restringe molto: è necessaria una personalità di altissimo profilo, super partes, di autorità riconosciuta non solo in Italia ma in Europa.

Se la scelta ricadrà su Mario Draghi, bisognerà poi andare avanti con un governo europeista, magari a partire dalle forze che sono già alleate a Bruxelles (Pd, Cinque stelle, Art. 1, Forza Italia, centristi).

Nei mesi che restano, questo governo potrà affrontare la pandemia senza tentennamenti e realizzare una riforma bipartisan della legge elettorale, di impianto proporzionale: meglio del maggioritario, il proporzionale assicura una rappresentanza equa, per tutti, ed evita di consegnare ai sovranisti un potere sproporzionato rispetto ai loro voti.

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