Non bisogna confondere la crisi dei partiti con la condotta del parlamento. I primi sono alla ricerca di nuovi equilibri come accade dovunque nelle democrazie.

Sui partiti si scarica l’elettricità statica della divisione e del rancore sociale, delle diseguaglianze e vulnerabilità, dei problemi irrisolti, della sfida dei regimi autoritari e così via.

Il parlamento si comporta come una camera di compensazione ove tali conflitti devono trovare una forma di composizione, compromesso o transazione. Non è detto che ciò significhi giungere a soluzioni immediate: spesso occorre far decantare i problemi.

Anche se non piace quasi a nessuno, si tratta di una tradizione essenziale della politica democratica. Non sempre si possono tagliare i dilemmi con l’accetta e quasi mai è consigliabile il muro contro muro. Chiunque sia stato parlamentare lo sa.

Chi lavora in quelle aule è a conoscenza che ogni questione deve essere posta al vaglio delle tante anime che compongono il parlamento. Anche se si scrivono paginate sulla “lentezza” delle Camere, la fretta è sempre cattiva consigliera.

I politici su questo fanno un po’ il doppio gioco: verso l’esterno si lamentano della difficoltà di decidere; ma verso l’interno partecipano anche loro al lento avanzare del processo decisionale.

Appena è soggetto al dibattito parlamentare, qualunque tema viene sviscerato da molteplici punti di vista ma anche sottoposto a procedure, agende o sequenze.

Il fatto che il nostro parlamento non abbia eletto un diverso capo dello Stato confermando il presidente uscente, non deve essere considerato come un ripiego, come affermano molti commentatori. Più si sottolinea questo (sostenendo che il parlamento avrebbe fallito) e più si diventa offensivi per lo stesso presidente Mattarella.
La cosa è molto più semplice: soltanto Sergio Mattarella viene percepito come il garante di una maggioranza che è la più composita che il paese abbia mai avuto. I cosiddetti peones sono parlamentari che hanno espresso la loro volontà andando oltre i capi partito: è del tutto legittimo, così come lo è aver cambiato negli anni opinione sul presidente.

C’è un’ulteriore spiegazione: siamo in un’epoca di spaesamento, incertezza e senso del declino un po’ dovunque ma soprattutto in Europa. Prova ne sono ciò che accadeva nel parlamento britannico solo due anni fa (ricordiamo Bercow urlare: «order, order») o l’attuale stallo del Senato Usa, ad esempio.

Il nostro è il tempo del politically fluid: in parlamento si esprimono idee e rappresentazioni non dissimili da quelle della società nel suo complesso, con tutta la loro fluidità politica di cui tener conto.

Invece di gridare pensando di imporre qualcosa o qualcuno, si dovrebbe imparare ad ascoltare e a decidere collettivamente senza esclusioni, anatemi o scomuniche. In un tempo complicato serve ricostruire un noi: avere un sussulto morale e non dare spazio a tanti io urlanti. 

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