Stallo. In Ucraina la guerra è ormai di logoramento e non c’è da aspettarsi troppi cambiamenti sul terreno nel futuro prossimo. Le due parti sembrano attestarsi per una guerra lunga come dicono gli analisti.

Davanti al Senato statunitense Avril Haines, direttrice della National intelligence americana, ha sostenuto la medesima tesi. Alcuni parlano dell’estate come punto di svolta grazie alla prossima controffensiva ucraina che spinga i russi fuori dai territori occupati fin dal 2014.

Ma non tutti ci credono: altri pensano che si andrà avanti molto di più perché i due contendenti, benché sprovvisti di atout strategici per vincere, sono lontani dallo sfinimento che possa spingerli al negoziato. Il piano di pace italiano si inserisce in questo delicato momento: pur ribadendo che saranno gli ucraini a decidere quando e come negoziare, il presidente del Consiglio Mario Draghi sta cercando di porre le basi per il dopo: a quali condizioni sarà possibile un cessate il fuoco oltre che ricucire un dialogo con la Russia

L’idea delle tregue parziali che costituiscono il primo punto del piano italiano, può andar bene a entrambe le parti perché non intacca le posizioni di partenza di entrambe. Tra l’altro anche a Washington si cerca di uscire dallo stallo prima che si trasformi in una lunga guerra di attrito dalle conseguenze impreviste: il Pentagono ha preso l’inusuale iniziativa di offrire una tregua ai russi (ovviamente rifiutata) prima della fornitura di armi pesanti che farà inoltrare i contendenti nelle sabbie mobili della guerra di logoramento.

Il Donbass

Intanto i russi preparano l’accerchiamento nel Donbass, sempre meno imponente ma reale. La buona notizia è che i capi militari russi e americani si parlano: questi ultimi stanno usando come deterrente precisamente il prossimo arrivo delle nuove armi pesanti promesse a Kyiv. Deterrente è una parola chiave, molto usata in questi mesi di guerra, soprattutto a riguardo delle armi nucleari.

Utilizzarla troppo, ad esempio anche per le armi convenzionali, la banalizza e svuota di senso, rendendola meno efficace. Deterrente significa possedere abbastanza forza da dissuadere l’avversario. È ciò che si è sempre fatto sul terreno nucleare: durante la guerra fredda utilizzare quel tipo di arma avrebbe significato permettere alla controparte di fare lo stesso. Quindi non andava usata: era l’equilibrio del terrore.

Il dramma è che oggi in Ucraina pare che ogni arma che possa fare da deterrente venga alla fine utilizzata (droni, missili ipersonici, cannoni a lunga gittata, laser ecc.) mettendo tutti in pericolo. C’è infatti chi sostiene che la guerra serve per provare le armi. Di conseguenza scommettere sulla certezza della dissuasione appare poco prudente.

La stessa Avril Haines ha dichiarato ai senatori Usa: «Putin ricorrerà all’arma nucleare soltanto se percepirà una vera minaccia al regime o al paese». Qui non si tratta di inibizione dell’avversario, cioè di deterrente, ma di arma di ultima istanza, arma di sopravvivenza.

Esiste a questo proposito un caveat: chi sta nella mente della leadership russa per capire quando giunge – “secondo loro" – quel momento? Nessuno ne sa abbastanza per garantire di conoscere esattamente dove -“secondo loro”- sta la linea rossa che separa sconfitta accettabile da pericolo di sopravvivenza. In questo caso basarsi sul deterrente non è gestione ragionevole del rischio ma diviene rischio non calcolato perché impossibile da calcolare: quello che per noi è ancora una situazione tollerabile potrebbe non esserlo per Mosca.

Quando gli analisti sostengono che la guerra non è ancora giunta al punto di svolta per andare al negoziato, cioè che ancora ci sia spazio per aumentare la pressione ucraina, basano il loro assunto su un’opinione impossibile da corroborare fattualmente. Si tratta solo di un’opinione quindi di un rischio non calcolato perché non può esserlo: le prossime mosse del Cremlino rimangono imprevedibili.

Allo stesso modo sostenere che la guerra deve andare avanti perché lo vogliono gli ucraini non è analisi corretta né ragionamento strategico ma scelta di schieramento: cosa ne sanno di più gli ucraini che combattono usando l’intelligence occidentale? In altre parole: sulle opinioni (e ancor peggio sulle emozioni) non si può costruire una solida strategia.

Di conseguenza è facile prevedere che, come tutte le guerre successive al secondo conflitto mondiale, anche questa finirà senza risolvere nulla, con immani distruzioni e priva di vincitori o vinti definitivi, lasciando dietro di sé una lunga striscia di morte ed odio. Come al solito gli analisti tenteranno di disegnare nuovi equilibri geopolitici, che tuttavia risulteranno sempre più fragili e fluidi.

Come sempre i commentatori che hanno sostenuto il conflitto svaniranno tentando di far dimenticare le loro esaltazioni. È facile prevedere anche che, dopo aver inondato di armi il teatro di guerra, ci scandalizzeremo del fatto che molte di queste siano finite in mani sbagliate. Già ci sono notizie di quelle giunte nelle mani dei separatisti del Donbass ma anche presso mercanti privati. Dove le ritroveremo? Quali altre guerre o violenze provocheranno? Più armi più guerre: questo ormai dovrebbe essere chiaro a tutti.

Purtroppo ciò di cui siamo sicuri è che si tratta di una guerra contro i civili, in cui i civili sono divenuti i veri ostaggi. Per il diritto umanitario internazionale i civili non possono mai diventare obiettivo militare né oggetto di scambio. Anche i militari feriti diventano immediatamente “neutrali”, oggetto della sola protezione umanitaria.

I civili

Quel che osserviamo invece è un accanimento contro civili ed istallazioni civili: case, palazzi, ospedali, scuole, chiese e così via. Oltre le stragi di civili ciò significa distruggere le possibilità future di vita per chi è ancora vivo. Tagliare acqua ed elettricità sono atti di guerra contro i civili: si vuole forse creare il deserto umano in quelle zone rendendole invivibili? La Russia dovrà spiegare un giorno il perché di tale furia distruttrice contro obiettivi non militari.

Quando la guerra infuria si parla solo di armi mentre combattere sembra la sola opzione possibile. Al contrario è necessario mantenersi lucidi resistendo alla tentazione di non pensare alle alternative e sfuggendo alla logica binaria del conflitto, terribilmente semplificatrice. Il diritto internazionale umanitario, sedimentazione delle lezioni delle guerre del passato, non va dimenticato ma preso in serio esame.

Concentrarsi solo su come distribuire armi è una diminuzione del livello di civiltà a cui l’essere umano è faticosamente giunto. Con il tempo la guerra è divenuto un terreno impossibile per le democrazie, mentre rimane quello preferito dei regimi autoritari perché li puntella. Le democrazie vivono di pace ed è consapevolezza comune che la guerra tende a trasformarle in peggio: per questo deve essere più breve possibile.

Ecco la ragione per operare da subito in favore della protezione umanitaria con altrettanto impegno di quello profuso nel sostegno alla resistenza ucraina. C’è una resistenza “umana e umanitaria” che va oltre quella di parte. È nota la contraddittoria e sempre aperta discussione sullo “ius ad bello”: il diritto di scatenare una guerra o di difendersi. Ma c’è da tener presente anche lo “ius in bello”, cioè le regole su come si fa la guerra, come si considerano i civili, cosa si fa dei prigionieri, cosa accade alle città e alle istallazioni civili.

In questi mesi di conflitto tale coscienza umanitaria è stata spesso ricordata dal direttore generale del Comitato internazionale della Croce Rossa di Ginevra, Peter Maurer. Per il diritto umanitario, riconosciuto dalle famose convenzioni di Ginevra, l’unica cosa sacra da preservare è la vita umana, e ciò deve essere fatto anche durante i combattimenti.

Come scrisse Henri Dunant, fondatore del comitato internazionale di Ginevra: dopo la battaglia di Solferino le donne lombarde sul campo di battaglia curavano amici e nemici senza distinzione: “tutti fratelli” dicevano.

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