Il Reddito di cittadinanza ha le ore contate? Pare di sì, date le dichiarazioni della nuova premier nel suo discorso in parlamento. O meglio, Giorgia Meloni si limita a dire una cosa che non può non essere condivisa da tutti: chi ha un bisogno vero sarà assistito dallo stato con un sussidio vero e adeguato; chi potrà lavorare, dovrà lavorare. In fondo il RdC è pensato così: chi può lavorare è inviato ai Centri per l’impiego, chi non può lavorare è dirottato ai Servizi sociali.

Forse la premier fa riferimento alla questione dei “furbetti”, ai falsi poveri. Quelli sì, vanno bloccati quanto prima. In un paese che non ci risparmia casi di false fatture, false invalidità, false partite Iva, false imprese, falsi titoli di studio, falsi marchi, falsi redditi, falsi domicili, falsi matrimoni e quant'altro, non può mancare un rigoroso controllo sulla falsa povertà. Il fatto che si scoprano dimostra almeno che si è sulla buona strada. Il fatto che esistano, però, non deve servire per criminalizzare i poveri e mettere in discussione il sussidio che spetta loro.

Il lavoro

Per il resto è vero che chi può lavorare, allora deve lavorare. Ci mancherebbe. Ma più che cambiare il RdC – che comunque va riformato – serve intervenire anche su altro. Nell’ultimo rapporto Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche del lavoro, si evidenzia come 3 su 4 beneficiari del RdC non hanno mai avuto un contratto di lavoro dipendente o parasubordinato negli ultimi 3 anni, a dimostrazione di una scarsa occupabilità dei soggetti; infatti ben oltre la metà di essi dispone di titoli di studio molto bassi, cioè la terza media.

Come potranno essere occupati? Nel rispondere si tenga conto della struttura del mercato del lavoro in Italia, soprattutto al sud, dove si concentrano i sussidi. Dunque la questione si apre, coinvolge anche altri provvedimenti, altre strutture. Il Pnrr dà molto risalto alle politiche attive: è su queste che serve focalizzarsi.

Ma torniamo ai poveri. Se si intende davvero contrastare la povertà, allora si deve partire dalla realtà, mettendo a posto le disfunzioni dei provvedimenti e concentrandosi qui e ora sulla concretezza: cosa vogliamo mettere a terra fin da subito per rispondere ai milioni di persone già in povertà o che cadranno in povertà a causa dei rincari di questi mesi?

I dati riproposti negli ultimi giorni dall’Istat non sono rassicuranti e confermano che gli italiani in difficoltà sono ancora una volta il 25 per cento circa della popolazione, con un drammatico aumento della distanza tra famiglie ricche e famiglie povere.

Occorre allora tenere due registri. Il primo è immediato: intervenire subito, prima che la situazione frani ulteriormente. Siamo di fronte ad autunno e inverno, stagioni che non facilitano il contrasto alla povertà.

Mettere in discussione il RdC ora sarebbe pericoloso in un tempo così imprevedibile, mettendo a rischio quasi quattro milioni di persone. Una scelta coerente è garantire la tenuta del provvedimento in vigore e implementarlo. Il report della Caritas, pubblicato pochi giorni fa, ripropone il dato per cui è solo meno della metà il numero dei poveri assoluti che percepisce il sussidio. Occorre porvi rimedio.

Il secondo registro è riformare il RdC, prendendo seriamente in esame le proposte dell'Alleanza contro la povertà in Italia o del Comitato di valutazione del RdC istituito presso il Ministero del lavoro. E poi serve verificare il buon funzionamento dei sistemi “vicini”: le politiche attive e la formazione professionale, la coesione territoriale, il contrasto al lavoro nero, per dire i primi tre che vengono in mente.

Le priorità

Fare politica – come in un pronto soccorso – è riconoscere le vere priorità sulla base dei dati e poi porvi rimedio. Non occorre scomodare Platone per ricordare il nesso tra politica, medicina e cura: le patologie del Paese sono curabili a patto di riconoscerle e intervenire per tempo. Il rimedio da porvi è, nel breve periodo, solo da rinforzare e somministrare. Poi ci sarà il tempo per studiare e riformare.

Si tenga presente che curare le povertà di oggi è un investimento per il domani: è noto il dato dell’Ocse per cui In Italia servono in media cinque generazioni per una persona che nasce in una famiglia povera per raggiungere un livello di reddito medio. Povertà lunga, priorità di oggi per il domani.

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