L’ormai celebra figura del navigator è il capro espiatorio sulle cui spalle vengono caricate tutte le contraddizioni e i fallimenti del reddito di cittadinanza. Sbeffeggiati prima per il loro nome non proprio felice e poi derisi perché non avrebbero trovato lavoro ad altri se non a loro stessi, recentemente si è tornati a discuterne in occasione della scadenza, il 31 ottobre, del rapporto di collaborazione con i quali hanno prestato supporto alle regioni negli ultimi anni.

In realtà se si vuole andare oltre la facile ironia e una visione superficiale del mercato del lavoro italiano e della sua struttura si può facilmente comprendere come, almeno sulla carta, si tratta di figure che potrebbero davvero essere strategiche per far decollare le politiche attive del lavoro nel nostro Paese.

Si tratta di figure professionali pensate per accompagnare i percettori del reddito di cittadinanza in quella attività da tutti additata, la ricerca del lavoro, e per raggiungere un obiettivo, la liberazione dal sussidio, che è sulla bocca di tutti.

Ma come possono stare insieme le critiche al fallimento della dimensione lavoristica del reddito di cittadinanza, legate al fatto che troppe poche persone sono riuscite a trovare un impiego mentre percepivano il sussidio e la critica alle figure che avrebbero proprio dovuto aiutarle in questo?

L’alternativa è che si immagini che i percettori di reddito di cittadinanza trovino lavoro in autonomia, a partire dell’individuazione di percorsi di formazione e riqualificazione professionale scelti con la consapevolezza di quelle che sono, in un momento storico specifico, le esigenze del mercato del lavoro.

Se poi si considera che la maggior parte dei percettori non lavora da molti anni e quindi si presenta come un profilo non troppo appetibile per le imprese e con scarsa conoscenza delle richieste del mercato pare chiaro che sia una alternativa non praticabile.

La stessa premier Giorgia Meloni, nel suo discorso alle camere, ha detto che l’obiettivo è fornire alle persone che potrebbero lavorare dei percorsi di formazione per consentirgli di ricevere e accettare offerte di lavoro.

Difficile pensare come questo sia possibile oggi senza coinvolgere figure di accompagnamento che dovrebbero anzi essere ancor formate e in grado di orientare in un contesto di rapida trasformazione nel quale l’occupabilità delle persone non è garantita solo dal loro impegno individuale.

I navigator andrebbero però anche messi nelle condizioni di svolgere il loro lavoro fornendo loro gli strumenti necessari, un budget per cercare le occasioni di lavoro che le imprese non comunicano ai centri per l’impiego e garantendo che la condizionalità funzioni, altrimenti i percettori stessi saranno i primi a non essere disponibili.

Le loro competenze dovrebbero essere allargate ad una conoscenza più specifica delle dinamiche del mercato del lavoro e di quelle delle vulnerabilità delle persone, in un approccio interdisciplinare che lambisce la psicologica tanto quanto l’economia.

Una figura complessa e non semplice da formare e che non può essere coinvolta con forme contrattuali brevi che spesso non garantiscono un percorso di crescita professionale, prevedendo anche meccanismi premiali che li motivino a raggiungere determinati obiettivi.

L’alternativa sarebbe dare tutto in mano alle agenzie del lavoro, che possiedono competenze maggiori rispetto a quelle dei centri per l’impiego, ma considerato l’impianto attuale del piano Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), questa strada non sembra percorribile oltre a non essere, probabilmente, la preferita per le agenzie stesse.

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