L’allarme è stato lanciato anche da Federalberghi: mancano 350mila persone nel turismo a fronte di una disoccupazione che rimane alta. Possibile che in Italia non ci siano persone disposte a lavorare? La risposta è semplice e si chiama Reddito di cittadinanza: una vera e propria follia nel momento in cui il Paese tenta faticosamente di ripartire, dichiara Matteo Renzi.

Ma è così davvero? Il sussidio, dalla sua introduzione, ha garantito in media 565,38 euro mensili a nucleo familiare, non a persona. Nel mese di marzo 2022 l’importo medio è arrivato a 581,38 euro. Se davvero un sussidio di questo tipo è concorrenziale con il lavoro, come alcuni sostengono, ci si dovrebbe chiedere come sia possibile che i salari siano così bassi in Italia e se sia socialmente e costituzionalmente accettabile che il lavoro sia pagato così poco.

Il RdC ha due obiettivi: contrastare la povertà e spingere i beneficiari a rientrare nel mercato del lavoro. Senza nascondere le criticità che si sono ben presto rivelate, si può però dire che se sul primo punto il Rdc ha funzionato abbastanza bene, sul secondo i risultati sono stati al di sotto delle attese. Ma questo dipende soprattutto dall’estrema fragilità della gran parte dei beneficiari, poco o per nulla attivabili.

Anche gli ultimi dati Anpal sottolineano come tra i beneficiari tenuti alla sottoscrizione del Patto per il Lavoro, dunque potenzialmente attivabili, il 56,5 per cento non ha mai avuto un contratto di lavoro nei 3 anni precedenti, mentre solo il 23,4 per cento ha avuto una esperienza lavorativa. Insomma, abbiamo a che fare con persone dal percorso professionale accidentato, fragile, con bassi livelli di scolarità e a rischio povertà anche se hanno un lavoro.

Il lavoro coatto

Il mancato inserimento lavorativo non si risolve col lavoro coatto a fronte di un taglio del 50 per cento del sussidio, come chiesto in questi giorni dal ministro del Turismo, perché proposte così rischiano di alimentare una corsa al ribasso dei salari che già sono estremamente bassi in Italia.

Vi è inoltre il pericolo di un crescente spiazzamento nei confronti di chi questi stessi lavori li svolge con un regolare contratto, ancorché precario e spesso mal pagato. È questa la strategia per qualificare il turismo italiano? È così che si offre una concreta risposta al problema dei bassi salari in Italia? Semmai andrebbero introdotti in-work benefits, ovvero integrazioni fiscali, per i lavoratori a basso reddito e incentivi per cumulare il Rdc con un reddito da lavoro.

Quando un beneficiario trova lavoro, il sussidio si si riduce di 80 centesimi per ogni euro in più guadagnato, che diventano addirittura 100 quando si ripresenta la dichiarazione Isee.

Si tratta chiaramente di un meccanismo disincentivante, sul quale sia il Comitato scientifico di valutazione del Rdc sia l’Alleanza contro la povertà si sono più volte espressi proponendo di portare al 60 per cento l’aliquota marginale.

Ma con l’ultima legge di bilancio governo e parlamento hanno ritenuto di non dare seguito a queste proposte, preferendo una ulteriore stretta alle condizionalità. Il punto è che non bastano le condizionalità, né la spinta ad accettare qualunque occupazione, soprattutto se le occasioni di lavoro non ci sono, come in molte zone del Mezzogiorno e in alcune aree interne del nord Italia.

Questa dovrebbe costituire la principale preoccupazione: come si crea lavoro, in un contesto di bassa e cattiva occupazione che ristagna da anni come nessun paese in Europa. Dagli anni ’90 le retribuzioni italiane sono cresciute del 30 per cento in meno rispetto alla media europea. Dare la colpa al Rdc è una forzatura. La questione del lavoro non va presa dalla fine, ma dall’inizio e nel suo complesso.

Il Rdc non va abolito, va migliorato, e non solo per quello che riguarda il rapporto con il lavoro. Le 10 proposte del Comitato scientifico di valutazione del Reddito di Cittadinanza, presentate a Ottobre 2021, sono ancora valide. Di queste sarebbe il caso di discutere, non di proposte lontane dai problemi reali del paese.

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