Fare previsioni sull’andamento della guerra e sulle sue prospettive è esercizio vano, troppe variabili sfuggono alla nostra osservazione, ma possiamo almeno vedere a che punto siamo arrivati a più di un mese dall’invasione per capire gli scenari possibili.

Il primo fatto certo è che la resistenza ucraina ha messo in difficoltà l’esercito russo al punto da spingerlo a desistere, almeno per ora e a parole, dall’obiettivo di prendere Kiev, la capitale.

Questo significa che lo scenario della rapida capitolazione dell’Ucraina è da escludere, per fortuna (e si rassegnino quelli che, solo in Italia, vedevano nella disfatta di Volodomyr Zelensky e nel conseguente massacro di civili la soluzione più indolore).

Se così è, si aprono due traiettoria possibili. Quella in cui l’Ucraina può vincere, e quella in cui può trattare un cessate il fuoco e un nuovo assetto da una posizione di minore debolezza rispetto a qualche settimana fa.

A sentire durante Otto e mezzo Alexander Rodnyansky, giovane economista di Cambridge che assiste Zelensky nei negoziati, dalla prospettiva ucraina non c’è una sostanziale differenza tra questi due esiti.

Zelensky e gli ucraini si sentiranno al sicuro soltanto con la caduta di Vladimir Putin, per effetto delle sanzioni economiche o di un escalation militare che Kiev continua a richiedere, dalla fornitura di armi alla guerra aperta Nato-Russia.

I processi di regime change, abbiamo visto in Iraq e Afghanistan, sono spesso sanguinari quanto le guerre che dovrebbero evitare e hanno esiti imprevedibili, quasi mai positivi. Ma il punto è che il regime change sembra sempre più remoto: l’economia russa sarà devastata per anni dalle sanzioni, dalla fuga di talenti, dall’isolamento internazionale. Ma nell’immediato regge.

L’Ue non ha alternative alle forniture di gas e petrolio almeno per qualche mese, la Germania guida il fronte di chi si oppone all’embargo petrolifero, il tasso di cambio tra rublo e dollaro è tornato ai livelli di inizio marzo (anche se va detto che per un dollaro ci vogliono oltre 100 rubli, mentre fino a inizio febbraio solo 75 circa).

 D’altra parte, non si ricordano precedenti di regimi considerati criminali dalla controparte che sono crollati sotto il peso delle sanzioni: si sono adattati, vedi Cuba, Iran, Venezuela, hanno cambiato alleanze, si sono impoveriti, ma il tiranno sotto assedio ha compattato la popolazione ed epurato i nemici per blindarsi.

Lo sa bene anche Zelensky, che chiede a paesi come il Qatar di impegnarsi di più per facilitare l’Ue ad aumentare il livello di pressione. Quello attuale non farà cadere Puin nel breve periodo.

La domanda inevitabile che dobbiamo farci è se pensiamo che questa guerra finirà con il congelamento delle ostilità sul campo o con l’abbattimento di Putin.

Gli ucraini non hanno dubbi, la sicurezza loro e dell’Europa sarà sempre minacciata finché il presidente russo, già considerato un “criminale di guerra” dagli Stati Uniti, resterà al suo posto.

Siamo disposti a seguirli su questa strada?

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