Matteo Renzi, senatore della Repubblica e già presidente del Consiglio, si reca in Africa in compagnia di alcuni imprenditori desiderosi di esplorare nuovi mercati. Qual è il problema? Che sia l’unico a farlo.

In tutti i paesi europei gli ex premier o ex ministri, e non solo quelli in pensione, si applicano ad aiutare le esportazioni e l’internazionalizzazione delle proprie economie. Questa non è pratica consueta in Italia. Siamo invidiosi quando vediamo leader ed ex leader di altri paesi portarsi dietro le proprie imprese, pensando di doverli imitare. Ma quando ciò raramente accade sospettiamo chissà cosa e lo usiamo per fare polemica. È vero che la responsabilità primaria di tali iniziative dovrebbe ricadere sull’esecutivo in carica, ma nulla vieta di utilizzare ogni risorsa a disposizione (come gli ex premier e le loro relazioni personali). Nel sistema italiano si fanno missioni economiche (chiamate appositamente “di sistema”) in giro per il mondo. Il difetto è che se ne fanno troppo poche, poco strutturate, senza follow up e sempre per lo stesso gruppo di imprese. Non c’è continuità di azione tra governi diversi e poca collaborazione tra ministeri.

Un punto strategico

Eppure è semplice da capire. L’internazionalizzazione del nostro sistema imprenditoriale dovrebbe essere uno dei punti strategici di programma di ogni governo italiano, una vera politica bipartisan preparata e programmata sul lungo periodo. La vera carenza italiana sta proprio nell’assenza di tale disegno: ci si riempie la bocca di dati sull’esportazione ma non si capisce che il “sistema” dovrebbe funzionare con continuità e non dipendere dai ministri più volenterosi. Ci vogliono lavoro, procedure e meccanismi di lunga durata.

Con la nuova legge 215 del 2014 sulla cooperazione, è divenuto possibile connettere aiuto pubblico allo sviluppo e imprese in un’ottica nazionale win-win, offrendo un ruolo da protagonista alla Cassa depositi e prestiti. Si tratta di due fattori positivi per tutto il comparto che però non sono divenuti mai operativi. La Cassa non si è ancora dotata delle risorse umane che la renderebbero competitiva con le omologhe finanziarie per lo sviluppo francese e tedesca, le quali al contrario riescono a drenare quasi tutte le risorse europee a vantaggio delle proprie imprese. La stessa Agenzia della cooperazione langue perché da anni le si nega il necessario concorso che la rilancerebbe e va avanti con le risorse umane ante-riforma. Malgrado le nuove norme, non riusciamo nemmeno a realizzare quella cooperazione 2.0 che favorirebbe la nostra economia.

Qual è l’urgenza oggi? Le imprese già internazionalizzate reggono meglio l’urto delle crisi (sia quella del 2008 che quella odierna da pandemia). Quelle che si basano solo sul mercato interno rischiano di fallire. Il nocciolo del problema è dunque non solo e non tanto aumentare le esportazioni ma “internazionalizzare”: cioè andare all’estero per trovare partner, investire e attrarre investimenti. Attenzione: tutto questo non significa delocalizzare, com’è stato purtroppo fatto da troppi imprenditori in fuga. Significa al contrario assumere il mercato globale come riferimento e provare a crescere. Ma se non c’è accompagnamento pubblico non resta che la chiusura o la fuga. Nella globalizzazione “piccolo non è bello” ma sinonimo di fragile.

Occorre contemporaneamente cambiare la mentalità dei nostri piccoli e piccolissimi imprenditori e mettere a disposizione strumenti adattati alle loro dimensioni. Oggi non ci siamo: Ice, Cdp, Sace e Simest funzionano bene per le imprese di medie dimensioni ma non posseggono strumenti micro. Non hanno cioè i sensori adatti per lavorare con i piccoli e piccolissimi: proprio quelli che avrebbero più bisogno di affiancamento. Si tratta della stessa storia che abbiamo visto svolgersi con Garanzia Italia durante la pandemia: grandi e medi se ne servono bene, i piccoli non ci arrivano. Un’altra grave carenza italiana è che non esiste più il sistema bancario italiano all’estero: per ottenere prestiti o liquidità le nostre imprese devono chiedere a banche straniere che ovviamente danno la precedenza e la preferenza ai loro connazionali.

Focus sui piccoli

È assolutamente necessario che il lavoro attualmente svolto da Ice, Simest, Cdp e Sace continui e migliori mediante più integrazione tra le varie agenzie governative e con programmi di continuità bipartisan. Carlo Calenda aveva iniziato questo lavoro. Tuttavia è ugualmente molto urgente che si crei un sistema per le piccole e piccolissime imprese con una programmazione a lungo termine e con garanzia di continuità.

Prendiamo ad esempio l’Africa in cui si è recato Matteo Renzi. L’Italia è arrivata tardi in Asia (in particolare in Cina) perché in quel continente funzionano soprattutto le grandi imprese di cui ormai siamo quasi sprovvisti. Ammettiamo oggi i nostri errori: i grandi settori pesanti come quello chimico, avionico, ferroviario, spaziale, elettronico, informatico e così via sono stati abbandonati, venduti, ceduti o distrutti nel ventennio Ottanta-Novanta. Anche le grandi imprese agroalimentari italiane sono state tutte vendute ai francesi o agli americani.

Inutile criticarli: i francesi hanno protetto meglio i loro campioni nazionali. Noi invece abbiamo usato quel periodo per rinfacciarci tutto a vicenda, preferendo litigare tra fazioni invece di proteggere ciò che era di tutti. Salvo eccezioni, non possediamo più gli strumenti economici giusti per cimentarci con l’Asia, laddove serve la grossa dimensione. Per non restare soltanto subfornitori di altri, dobbiamo dunque rivolgerci altrove, cioè in Africa e America Latina.

Rispetto al subcontinente americano, il vantaggio competitivo africano è la distanza: tutto è molto più vicino. Inoltre gli africani non posseggono un vero e proprio settore manifatturiero (se non embrionale) ma lo vorrebbero. Si trovano a disagio a trattare con le transnazionali o con i giganti di stato cinesi: preferirebbero avere dei partner alla loro portata. Ecco una finestra di opportunità per le nostre piccole imprese. In Africa si sta svolgendo una buona parte della competizione commerciale del futuro. Nel continente vi sono enormi risorse in termini di acqua, terra, minerali ed energia. In primo luogo c’è l’agro-business: l’Africa è l’unico continente dove rimane terra coltivabile libera (200 milioni di ettari fatte salve le foreste).

Ci sarà bisogno di mettere quelle terre in produzione. La questione non è ideologica ma pragmatica: le transnazionali non coinvolgono (se non marginalmente) i locali nel loro business e puntano su monoculture da esportazione. Sarebbe davvero una meraviglia se il settore agro-business italiano fosse aiutato a organizzarsi per fare un’offerta aperta alla “Green Africa” in cerca di partner. Immaginate gli straordinari risultati che si otterrebbero creando assieme catene di valore alimentare. Tutto ciò aiuterebbe le nostre piccole imprese del settore a crescere e gli africani a creare da zero un intero settore produttivo.

Lo stesso vale per altri comparti come la logistica, i trasporti, le telecomunicazioni, l’illuminazione, le costruzioni, le energie rinnovabili, le macchine agricolo-forestali, i macchinari di trattamento e conservazione, i farmaci, lavorazione del legno, mobili e così via. Ciò che gli africani cercano e raramente trovano è l’imprenditore che trasmetta know-how sul territorio e coinvolga la popolazione locale. D’altronde per aiutare davvero l’Africa “a casa sua” bisogna metterla in condizione di produrre. Ci vuole tempo e continuità, ma il risultato positivo sarebbe possibile. Attualmente la gran parte delle piccole imprese italiane resta fuori da tale grande gioco. Lo sa Assafrica, l’associazione di Confindustria dedicata al continente, come anche Itare di Raul Ascari, che fu direttore generale di Sace e rimane uno dei pochi a scommettere sul continente nero. Lo sanno i rari incubatori di impresa e di imprenditoria italiani dedicati all’Africa, come E4Impact (fondato da Letizia Moratti) o MigraVenture della Fondazione Etimos.

Lo sanno molte Ong italiane ormai capaci di programmi economicamente auto-sostenibili nel tempo. Si tratta soltanto di fare davvero sistema, darci gli strumenti e lavorare assieme senza gelosie né opportunismi.

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