«Non solo è giusto, ma è anche necessario» avere rapporti con l’Arabia Saudita: Matteo Renzi risponde a chi gli chiede conto della partecipazione lo scorso gennaio alla conferenza della fondazione saudita Future Investment Initiative, del cui “board” egli è parte. Renzi promise che avrebbe chiarito tutto dopo la crisi di governo. In questi giorni ci ha dunque informati che pagherà le tasse in Italia per l’onorario ricevuto a Riad. Caso chiuso. Tutto regolare. Ma così non è. Questa non è una questione fiscale, ma politica. A giudicare dalla sua contrarietà al nostro voler sapere sembra che ne sia consapevole.

Dunque, da dove deriva la «necessità» di avere rapporti con l’Arabia Saudita? Renzi stava forse parlando a nome del nostro paese in quella conferenza? Non risulta. Quindi la decisione di tenere “rapporti” è solo sua. Ed è problematica.

Perché FII è un think tank con lo scopo di facilitare rapporti con investitori stranieri. Ed, evidentemente, i sauditi non hanno ingaggiato Renzi perché un italiano di bella presenza. I suoi ruoli pubblici sono un requisito non secondario.

Tramite personaggi politici occidentali, il principe ereditario saudita, Mohammad Bin Salman vuole accreditarsi come monarca illuminato; un Federico il Grande, animatore di piani di riforma e grandi investimenti.

Renzi lo ha elogiato pubblicamente come artefice di un «nuovo Rinascimento». E ha messo tra parentesi il ruolo del principe nella cattura, uccisione e smembramento del corpo del giornalista saudita Jamal Khashoggi, i cui resti furono, pare, bruciati nel forno della cucina dell’ambasciatore saudita in Turchia.

Secondo Freedom House, in un indice di libertà che va da 0 a 100 l’Arabia Saudita si ferma a 7. Secondo Amnesty International il paese saudita detiene, tortura e giustizia migliaia di persone senza giusto processo; per non parlare della condizione di sudditanza delle donne; e delle relazioni lavorative semiservili, che Renzi ha positivamente valutato.

Immaginiamo come potrà giustificare queste sue parole ai sauditi e agli italiani. Si troverà di fronte a un bivio. O dirà di averle dette senza credervi, al solo scopo di coltivare rapporti con il ricco saudita, che non sarà, forse, molto contento. O dirà di condividere quel che ha detto a Riad, e in questo caso scontenterà i cittadini e le istituzioni italiani. Comunque sia, scontenterà qualcuno.

La doppiezza è un problema.

E’ probabile che egli speri che tutto finisca come nella commedia goldoniana, Arlecchino servitore di due padroni: «Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti si siori me perdonerà». E vissero tutti felici e contenti. E invece, occorre evitare questo epilogo.

Renzi non è un perseguitato, come fa credere. E’ un senatore della Repubblica e anche se il Senato non ha, come la Camera, un codice e un regolamento sugli affari privati dei senatori, egli è comunque un rappresentante del parlamento e quindi del popolo italiano. Deve rendere conto se richiesto. Nei paesi democratici si fa così. Questa non è persecuzione ma accountability.

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