Vedere due donne che si abbracciano in barca può dare il senso a una vita intera, se le guardi attraverso un binocolo, la loro barca è una bagnarola di legno di pochi metri senza più benzina e senza acqua e viveri a bordo, e tu sei nel mezzo del Mediterraneo centrale a bordo di una nave che, per conto della società civile, è impegnata a salvare vite in mare. E sai che si abbracciano perché ti hanno visto arrivare.

Vite che cercano salvezza dalla fame, dalla guerra, dalla miseria, dalle persecuzioni e che se non ci fosse stata la nave su cui sei - in questo caso la gloriosa ResQ People - avrebbero trovato la morte per annegamento.

È bellissimo aver contribuito salvare persone. Davvero non si riesce a dire quante sono le emozioni, quanta è la gioia, quanto è fin assurdo sentire dentro di sé quelle cose che ti vengono quando vedi decine e decine di donne, uomini, bambini, ragazzini che sono grazie anche a te vivi.

Dove sono gli altri?

Ma poi sale la rabbia. Perché pensi che non ci dovresti essere tu, in mezzo al mare, a fare questo mestiere qui invece di essere a casa a fare il dirigente di Arci, il giornalista, lo scenografo, il padre, quello che con tante e tanti porta la sua solidarietà alla Cgil dopo gli attacchi dei fascisti.

Al tuo posto ci dovrebbero essere le guardie costiere (quelle vere, non le cosiddette libiche), le marine militari, insomma gli Stati europei, e in particolare quello italiano.

Perché questo è il Mare Nostrum, il Mediterraneo. Che scelte criminali e scellerate stanno, insieme all’ignavia di troppi che fan finta di non vedere e non sapere, trasformando in un enorme e liquido cimitero.

Meno di 48 ore dalla partenza da Porto Empedocle, in Sicilia, sono bastati a incontrare un'imbarcazione in difficoltà. A quasi duecento miglia di distanza, che poi sarebbero più o meno trecento chilometri, percorsi alla velocità di poco più che dieci chilometri all’ora.

Questo può voler dire una cosa sola: sono tantissime, molto più di quel che i dati ufficiali ci dicono, le persone che si mettono su una qualsiasi bagnarola e provano ad attraversare il Mare Nostrum. In pochissimo tempo ci si ritrova ad ascoltare le storie di chi tra queste 59 persone, tra cui sei donne e 17 ragazzini, ha ancora il coraggio o la forza di raccontare.

Le vite

Come quel ragazzo di 24 anni che arriva dalla Nigeria e di cui ovviamente non si fa il nome per proteggerlo. Lui era in Libia dal 2017, appena arrivato è stato rinchiuso in un campo di prigionia. Ha provato a scappare e gli hanno aperto la faccia con una spranga di ferro.

Ha passato gli ultimi quattro anni in un campo di prigionia. E siccome non aveva soldi, lavorava come schiavo nei dintorni. Sempre a disposizione dei suoi aguzzini. E siccome la famiglia non aveva da pagare riscatti, i suoi carcerieri si divertivano a pestarlo e a torturarlo.

Oggi ha quasi del tutto perso la vista da un occhio, attraversato dalla cicatrice che la spranga gli ha lasciato. Zoppica, perché a bastonate gli hanno rotto le ossa di una gamba e nessuno si è mai degnato di curarle. Ed è infine pieno di cicatrici sulle braccia e sulle gambe - la schiena non la mostra per pudore - e certamente nell’anima.

Oggi è salvo perché la madre è, dopo anni, riuscita a mettere insieme il riscatto. Era partito per la Libia senza sapere quello che lo aspettava. E, pur di non tornarci, si sarebbe buttato in acqua per affogare. E con lui avrebbero fatto lo stesso le sue compagne e i suoi compagni di viaggio: in mare per morire, nel caso fossero comparse all’orizzonte ancora le motovedette libiche.

E invece hanno visto arrivare la nave di ResQ.

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