Durante le consultazioni le parti politiche e sociali dovrebbero avvertire l’attenzione con cui Mario Draghi le ascolta ma penso abbiano anche modo di cogliere la sua incisività nello spiegare le cose da fare, le ragioni per farle, le conseguenze del non farle, il fatto che posso essere fatte, secondo l’indicazione del presidente Sergio Mattarella, da un governo aperto a tutte le forze politiche.

La sua capacità di convincere spiegando è stata evidente durante la presidenza della Bce. La si coglieva nelle conferenze stampa successive alle riunioni del Consiglio e nelle altre occasioni di comunicazione pubblica.

Devono averla colta spesso gli organi dell’Ue a Bruxelles e le principali cancellerie. Ma si poteva intuire come la usasse anche all’interno del Consiglio, superando dissensi del calibro di quelli argomentati in modo analitico dai governatori di alcune banche centrali nazionali.

Indovino che nelle consultazioni Draghi conterà sulla sua abilità pedagogica, che sa usare senza supponenza e con qualche empatia.

Non credo si limiterà a mediare, a “cercare il punto di caduta” (la brutta espressione in voga), a mettere insieme i do ut des dei consultati. I leader, a differenza dei follower, contano anche sullo spiegare e convincere.

Spiegare e convincere sarà un’arma importante della politics di Draghi che speriamo abbia successo. Ma la sua azione sarà prevalentemente concentrata sulle policies. È sperabile che il suo lavoro aiuti anche a capire la differenza fra i due concetti più di quanto abbia fatto l’insistenza di Renzi sui “contenuti”, opportuna ma rivelatasi piuttosto retorica e non abbastanza coerente. In italiano mancano quasi le parole per tradurre sinteticamente la differenza.

Tralasciando sfaccettature e sfumature delle definizioni, politics è la ricerca del consenso, delle alleanze, della convergenza di posizioni che garantiscano l’esercizio del potere di governare, mentre policies indica le misure da prendere, i provvedimenti del governo.

Sarebbero due cose complementari, perché per varare provvedimenti occorre consenso e il consenso andrebbe cercato parlando seriamente di provvedimenti e dei modi di implementarli. Capita però spesso, non solo in Italia ma molto in Italia, che i politici facciano acrobatici tentativi di costruire consenso quasi prescindendo dal precisare con adeguato dettaglio i provvedimenti che si propongono di prendere.

Al consenso si cercano basi in fumose definizioni di destra e sinistra, fratellanze ideologiche, brutali coincidenze di interessi speciali, tattiche elettorali di orizzonte trimestrale.

I provvedimenti dei quali si parla sono solo quelli di “bandiera”, simboli scheletrici delle fazioni che ingaggiano la “lotta per il potere”, altra espressione che i vocabolari politologici usano a volte per definire la politics.

È così che la politica ingaggia la faziosità di certi elettori mentre perde credibilità presso gli altri.

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