Il governo Conte 2 è stato, in larga misura, un governo da condizione emergenziale, poiché la sua vita ha largamente coinciso con la fase pandemica. Il governo dell’incrocio tra sussidi necessari e necessitati e definizione del piano di resilienza e ripresa.
Una straordinaria amministrazione che lo rende non direttamente comparabile ai precedenti. In tale temperie, il premier ha accomodato le pulsioni di spesa pubblica della sua maggioranza, ideologicamente inebriata da ambizioni di welfare scandinavo e larghezza di spesa pubblica gestita da uno stato sedicente imprenditore e pianificatore, oltre che dal presunto “liberi tutti” pandemico, tra aiuti di stato ad aziende decotte e bonus a pioggia per ritagliarsi porzioni di elettorato.
Il desiderio di Conte, genuinamente efficientista o frutto di ambizione personale, di rendere snelli e poco politicamente intralciati i processi gestionali del Recovery Plan non poteva che incorrere in attriti, stallo e crisi.
Il Conte 2 ha quindi immaginato il futuro senza curarsi o potersi curare del presente e fare i conti con esso; motivo per cui ampia parte dei guasti che minano la competitività di questo paese sono rimasti e torneranno a perseguitarci pesantemente, quando dovremo spendere “i soldi dell’Europa” in un piano che, tragicamente, i partiti credono sia di semplice stimolo alla domanda, sia pure “modaiolo” con green e digitale (qualunque cosa ciò significhi) e non soprattutto di riforme di struttura.
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