Il Rottamatore-in-Chief intende spaccare sia il Partito Democratico, nel quale si trovano alcune sue quinte colonne, reclutate e promosse nelle liste elettorali del 2018, sia il Movimento Cinque stelle, nel quale ci sono gli insofferenti che credono in Alessandra Di Battista, piccolo, inconsapevole rottamatore.
Spaccare i partiti esistenti non è particolarmente difficile, come dimostra, da un lato, la diaspora dei Cinque Stelle, dall’altro, il Partito democratico dal quale sono gemmati sia Liberi e uguali sia la stessa Italia viva.
Non è possibile porre fine a questi fenomeni poiché manca un collante efficace che può essere dato unicamente da una robusta cultura politica.
I Cinque Stelle non si sono neanche posti il problema della cultura politica, definendosi movimento post-ideologico, né può bastare il riferimento a Rousseau e alla democrazia diretta (dall’alto). Per il Pd la situazione è, in un certo senso più grave.
La preannunciata cultura politica che raccoglieva il meglio delle culture politiche progressiste italiane, ad esclusione di quella socialista, non si è mai materializzata. Nessuno sforzo è stato fatto per ricostruirla ed è in quel vuoto che si è inserito l’attivismo personalistico di Matteo Renzi.
Finita la coalizione giallo-rossa, non avremo quasi nulla da rimpiangere sul piano della cultura politica, della visione più o meno riformista.
Saremo, invece, costretti a piangere sulle ceneri di un sistema partitico mai strutturato che consente spazi soltanto ai richiami del passato, a cominciare da un nazionalismo camuffato che contiene non pochi elementi di autoritarismo.
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