Il 1° ottobre è stato rilasciato dalle autorità israeliane il ventinovenne italo-palestinese Khaled El Qaisi, prelevato il 31 agosto, davanti a sua moglie e suo figlio di quattro anni, al valico di Allenby fra Giordania e Cisgiordania.

L’arresto è avvenuto sulla base delle leggi antiterrorismo israeliane che consentono il prelievo di un sospetto e il suo fermo fino ad un mese di tempo senza che gli sia formalmente indicato un capo d’accusa e di interrogarlo senza la presenza di un avvocato difensore. Non entro nel merito di queste leggi, ovviamente discusse e discutibili, che richiamano leggi analoghe di cui gli stati si dotano in situazioni di emergenza.

Un po’ come le leggi speciali varate in Italia negli anni del terrorismo, il 41 bis da molti assimilato ad una forma di tortura, per non parlare di quanto fatto dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre con il carcere di Guantanamo. Mi rendo perfettamente conto di quanto rappresentino una sospensione dello stato di diritto, di quanto estendano a dismisura i poteri di uno stato, ma anche di quanto siano uno strumento di difesa in situazioni eccezionali.

Sotto traccia

Sono temi di non facile soluzione, che, non a caso, attraversano l’intera tradizione filosofico-politica moderna, a cominciare dal confronto corpo a corpo che Spinoza avvia con Machiavelli nel suo Trattato politico del 1677, dove il dissenso è sulla figura del dictator, antica figura romana a cui si concedevano poteri speciali in circostanze eccezionali.

Sono, però, anch’io stupito dello scarso richiamo mediatico concesso al caso, ancor di più vista la sensibilità sviluppata in seguito alle vicende che hanno visto coinvolti Giulio Regeni e Patrick Zaki. I motivi per cui è avvenuto il fermo non sono un mistero e sono stati resi noti su Repubblica del 29 settembre da Giuliano Foschini: «Tre incontri, almeno, con persone attenzionate dai servizi israeliani perché considerate vicine ad associazioni terroristiche palestinesi. Un paio di contatti presi dall’Italia e poi continuati una volta arrivato a Betlemme.

Alcuni post pubblicati nel tempo di vicinanza al Fplp (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), partito di stampo marxista riconosciuto come formazione terroristica da Israele ma anche dalla Ue e dagli Usa». Ovviamente, in Israele, in altre faccende affaccendato, si dà pochissimo spazio alla notizia, qualcosa si trova sul portale di informazione Ynet (versione ebraica). Altra cosa, invece, è che qui da noi se ne sia parlato così poco.

Do per scontato l’impegno, tra l’altro ribadito a più riprese dal ministro Tajani, del governo italiano, ma, sinceramente, risulta quantomeno un segno di debolezza subire in un modo così passivo l’intervento israeliano, che, sebbene inserito nella cornice sopra richiamata, si applica, comunque, ad un cittadino straniero a cui, solitamente, piaccia o meno, si riservano trattamenti più cauti per non aprire un contenzioso diplomatico come avvenne nel caso dei due marò italiani trattenuti in India.

Effettivamente, stando a quanto riferito da Foschini, l’Ambasciata italiana avrebbe ottenuto la possibilità per il console di visitare due volte El Qaisi nel carcere di Petah Tikva dove era detenuto, oltre ad avergli favorito un incontro con un avvocato. Proprio come nel caso dei marò, sembra, però, un altro segno di debolezza della nostra diplomazia.

L’eccesso dietro l’angolo

Ma, devo dire purtroppo, quando si parla di Israele e Palestina l’eccesso ideologico è dietro l’angolo.

Personalmente, trovo quantomeno cinico lo sfruttamento, da parte di alcuni, del caso singolo per rilanciare la solita propaganda di un Israele strutturalmente non democratico, come, appunto, questo caso ne fosse un’ulteriore prova.

Secondo l’associazione Prigionieri del silenzio, degli oltre 2000 italiani detenuti all’estero, il 50 per cento circa non ha ancora ricevuto una condanna e si trova in attesa di estradizione o di giudizio. In molti casi si tratta di reati minori, come possesso (non spaccio) di stupefacenti e non sono rari i dinieghi di contatto con la propria ambasciata o l’assoluta assenza di tutele legali.

Di questi non vedo alcuna traccia nei post scandalizzati di chi, quella sì prassi consolidata, sfrutta qualunque notizia per accanirsi quotidianamente contro Israele. Prima, però, di riaccendere inutili polemiche nostrane, riportiamo a casa Khaled El Qaisi, colpevole od innocente che sia.

Anche se, certo, avere amici di infanzia poi finiti in “giri strani”, per usare un’espressione gergale, non rende nessuno colpevole di alcunché.

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