I risultati delle elezioni amministrative sono oggetto di interpretazioni stiracchiate, da una parte e dall’altra, per rivendicare successi che alludono a tendenze trasponibili in competizioni politiche generali. Per varie ragioni è difficile fare calcoli precisi e proprio per questo ciascuno può sostenere, in qualche modo, di avere vinto.

Nelle competizioni locali si formano coalizioni a geometrie variabili, sono presenti molte liste civiche, le caratteristiche dei candidati a sindaco influenzano i risultati molto di più di quanto lo facciano gli aspiranti parlamentari.

Inoltre, non sappiamo quasi niente di quello che capita nelle elezioni amministrative in comuni con meno di 15.000 abitanti.

Infine, come è già accaduto nell’ottobre 2020, per varie ragioni, tecniche e comunicative, i media si concentrano sui comuni più grandi, nei quali si registra da anni una propensione più accentuata dell’elettorato, rispetto ai comuni più periferici e di dimensioni minori, a votare per partiti di centrosinistra.

Per attenuare questi diversi fattori, potenzialmente fuorvianti, all’Istituto Cattaneo abbiamo ricalcolato i risultati del primo turno delle comunali aggregando da un lato i voti ottenuti da tutte liste collegate a candidati/coalizioni ascrivibili al centrodestra, dall’altro i voti ottenuti da tutte liste collegate a candidati/coalizioni ascrivibili al “campo largo” (Pd + altre liste di centrosinistra + M5S).

Lo abbiamo fatto anche nei casi in cui le due aree si sono presentate divise, sostenendo candidati a sindaco tra loro concorrenti.

Abbiamo potuto fare questo calcolo solo per 95 dei 142 comuni con più di 15.000 abitanti chiamati al voto, perché i dati elettorali dei comuni siciliani così come quelli del Friuli-Venezia Giulia non sono gestiti e non sono stati forniti dal ministero dell’Interno e perché in altri comuni non è stato possibile identificare neppure una coalizione chiaramente ascrivibile al centrodestra o al “centrosinistra allargato ai Cinque Stelle”.

Abbiamo quindi considerato solo comuni nei quali sia stato possibile identificare almeno un candidato a sindaco (e quindi una coalizione di liste) espressione di ciascuna area.

L’equilibrio regge

Se si confronta il risultato registrato in quei 95 comuni alle comunali del 2022 rispetto a quello registrato nel complesso dalle liste ascrivibili ai due poli alle elezioni europee del 2019, si vede che l’equilibrio non è sostanzialmente cambiato, al netto del fatto che nelle amministrative cresce la quota di voto disperso verso candidati e coalizioni “civiche” cioè in alcun modo riconducibili all’uno o all’altro schieramento.

Nel 2019 i rapporti di forza tra centrodestra e centrosinistra erano, nei comuni del Nord oggi al voto, 48 per cento a 47 per cento; alle comunali sono stati 42 a 40. Nel Sud erano 45 a 52 nel 2019, sono stati 35 a 41 alle comunali del 2022.

Questo spiega come mai anche il pallottoliere dei sindaci guadagnati e persi nel complesso dei 142 comuni con più di 15.000 abitanti andati al voto sia rimasto nel complesso sostanzialmente in equilibrio: il centrodestra esprimeva 55 sindaci e ne ha ora 59; il “campo largo” ne aveva 56 e ne esprime ora 54.

Del resto, anche i sondaggi nazionali danno al campo larghissimo che include Pd + M5s + Sinistra + ex-Pd ed ex-M5S ora centristi una quota di voti pari a quello che danno al polo di centrodestra (FI+ FdI + Lega).

La ragione per la quale si ritiene che quest’ultimo abbia più chance di vincere le elezioni politiche è che si assume possa trovare più facilmente un accordo al suo interno e convergere su candidati comuni nei collegi uninominali.

La vera novità segnalata dal voto in alcune città più grandi (da sottolineare: alcune, più grandi) è che il campo largo, al contrario di quello che si poteva pensare, è competitivo.

L’analisi dei flussi che abbiamo svolto con Rinaldo Vignati su quattro di queste città documenta la dinamica sottostante, del resto abbastanza intuibile.  

A Monza, Alessandria, Parma, il candidato di centrodestra ha visto addirittura diminuire i suoi voti (in valore assoluto). Un po’ perché il loro elettorato si è dimostrato più incline all’astensione. Ma soprattutto perché non ha attratto elettori di candidati civici e non è nemmeno riuscito a ricucire perfettamente le fratture con altre componenti della stessa area.

Più di un terzo degli elettori che a Parma avevano votato per il candidato di FdI al primo turno, al secondo si sono astenuti, mentre il 30 per cento di quelli che lo avevano fatto a Catanzaro, dove il candidato del centrodestra era un ex Pd, hanno addirittura preferito votare direttamente per il candidato del centrosinistra.

Alla fine, la lezione è la stessa per un polo e per l’altro.

Vince chi trova la giusta misura tra elementi identitari che mobilitano i propri elettori più identificati e messaggi/persone capaci di includere/unire.

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