«Una Cina moderna, vitalizzata e militarizzata di 400 milioni di persone costituirà una minaccia non solo per il Giappone, ma anche per la posizione delle potenze occidentali».

Così vaticinava lo studioso geopolitico Nicholas Spykman nel 1942, quando la Cina non esisteva, occupata e divisa tra bande di signori della guerra.

Ora ci siamo. Il Giappone e le «potenze occidentali» sentono il fiato sul collo, e reagiscono scompostamente. Nel 2010, Barack Obama aveva lanciato il guanto: «Non accetterò un secondo posto per gli Stati Uniti d’America».

Da allora, è diventata un’ossessione: sulle questioni di Taiwan e dello Xinjiang, sulla «chip war» e, soprattutto, sul decoupling (la pressione per allentare i legami economici con la Cina), gli americani sembrano pronti a far saltare l’intero sistema mondiale piuttosto di «accettare un secondo posto».

Persino il compassato Economist denunciava a gennaio la «nuova logica distruttiva» degli Stati Uniti, che si potrebbe riassumere così: Muoia Sansone e tutti i filistei.

Il successo più recente di quella logica è stato spingere la Cina e la Russia tra le braccia l’una dell’altra.

Ovviamente le manifestazioni di amicizia in politica sono sempre giostre retoriche di consapevole ipocrisia.

Russia e Cina non si amano, anzi, si disprezzano: quando la Russia era più forte ha sempre schiacciato la Cina, e ora che la Cina è più forte aspetta solo il momento propizio (ormai non troppo lontano) per schiacciare la Russia.

Xi Jinping e Putin hanno due agende diverse, per certi versi opposte, ma entrambi pensano di poter trarre dei vantaggi da questa mutua sceneggiata di «eterna amicizia»; con un obiettivo comune: distrarre gli Stati Uniti, cioè alleggerire la pressione che Washington sta esercitando su entrambi.

Tutti gli sproloqui sul «nuovo ordine mondiale» che Pechino e Mosca starebbero costruendo insieme non sono altro che l’imbellettamento di una strategia di accerchiamento della superpotenza americana, che mira a sottrarle mercati e mercanti, cioè paesi da decenni desiderosi di avere più margini di scelta per i loro commerci, investimenti, forniture d’armi e, più in generale, opzioni politiche.

I 32 paesi che si sono astenuti all’Onu il 24 febbraio scorso, tra cui India, Africa del Sud e Vietnam, non sono contro gli Stati Uniti o contro l’«occidente», come affermano – senza crederci, beninteso – Xi e Putin, ma approfittano della situazione per mandare un monito agli «occidentali»: non siete più i soli padroni del mondo, e noi ci comporteremo di conseguenza; e ogni forma di supponenza o, peggio, di bullismo da parte vostra non potrà che consolidare la nostra determinazione.

Cina e Russia non stanno costruendo nessun nuovo ordine mondiale.

Non solo perché non ne hanno i mezzi né la capacità; ma anche e soprattutto perché quello che emerge sempre più da questa rissa tra potenze grandi e piccole è, semmai, la metastasi di un grande disordine mondiale.

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