Perché continua ad esserci polemica tra chi sostiene la prosecuzione della guerra e chi al contrario auspica un negoziato di pace al più presto possibile? Non per un diverso giudizio sulla Russia di Putin o sul diritto ucraino a difendersi, che nessuno (salvo eccezioni davvero rare) nega. Nemmeno – come si sente dire – per un diverso approccio morale. In realtà la vera incomprensione nasce dal fatto che si parla di due cose diverse, soprattutto di due guerre diverse.

Chi sostiene la prosecuzione della guerra pensa che si tratti della solita guerra europea, che possiamo definire (non me ne vogliano gli storici) “westfaliana” cioè condotta dagli stati nazione e da essi strettamente controllata. Per tale motivo si continua a portare ad esempio la seconda guerra mondiale, le intimidazioni e i tentennamenti dell’inizio, il suo svolgimento e la sua logica fine.

Una nuova guerra

Tuttavia sono passati molti decenni e la guerra non è più la stessa. Senza considerare il sorgere dell’era atomica, è sufficiente osservare ciò che è accaduto dal 1945 in poi per comprendere che la guerra ha cambiato natura, ha subito una “mutazione genetica” sfuggendo a qualunque controllo. La principale mutazione è che la guerra tende a diventare perenne e per questo quasi mai c’è un vincitore. È molto tempo che nemmeno le grandi potenze sono in grado di vincere un conflitto né di portarlo a termine alle loro condizioni.

Ciò non avviene per mancanza di mezzi o di volontà ma perché la guerra stessa non segue le regole di prima. Non esiste più, ad esempio, un momento in cui l’avversario sconfitto o in procinto di perdere, “concede” la vittoria, si arrende o dichiara l’insuccesso. Da tempo nessuno lo fa più: è una rottura favorita dal terrorismo e che è stata assunta in maniera generale. Invece di dichiararsi sconfitti, si cambia scenario: le parti più deboli hanno compreso la tattica ibrida della guerra asimmetrica e il loro obiettivo consiste nel negare la vittoria – anche simbolicamente – al forte e (presunto) vincente. La vittoria diviene elusiva, sfuggente, impossibile: un modo per sottrarsi alle regole degli Stati nazionali.

Di conseguenza il conflitto prosegue proteiforme, mimetizzandosi, talvolta divenendo ancor più micidiale, oppure occultandosi per poi riesplodere al momento meno atteso. Con il linguaggio odierno potremo dire che la guerra diventa fluida. Questo succede a tutti, non solo agli occidentali e non c’entrano le ragioni per cui si scatena un conflitto, giuste o sbagliate che siano.

La guerra postmoderna segue una sua logica autonoma dalle decisioni umane, sfruttando ogni loro piega, effetto e conseguenza. Possiamo osservare tale sviluppo sia nelle guerre mediorientali o del Golfo, che in Afghanistan ma anche nel fallimento delle guerre sovietico-russe (inclusa quella attuale in Ucraina) o quelle di qualunque altra media potenza, come ad esempio i conflitti scatenati dall’attuale Turchia che, malgrado tutta la forza dispiegata ad esempio, non viene a capo con le armi del problema curdo, divenuto un ennesimo scontro duraturo che ne ingenera altri e si mantiene.

Stati e privati

Quella in Ucraina non è una guerra completamente controllata dagli Stati che la combattono (né dall’aggressore Russia, né dagli aggrediti ucraini e dai loro alleati). Nemmeno Putin che l’ha iniziata può fermarla: innumerevoli si accumulano, da entrambe le parti, le motivazioni che sembrano obbligare o spingere alla sua continuazione. L’aspetto decisivo è che non si vede prospettiva se non la distruzione dell’Ucraina.

Se per ipotesi la Russia si ritirasse dietro le sue frontiere del 1991, passaggio considerato da molti come decisivo, potrebbe continuare a combattere, facendo piovere missili e bombe su tutta l’Ucraina rendendola invivibile, come già sta diventando oggi. È questa la forma che il conflitto potrebbe assumere per protrarsi e diventare endemico: ragione di più per provare ad arrestarlo. C’è un ulteriore aspetto da considerare: Russia ed Ucraina in guerra permanente stanno mettendo a rischio la loro tenuta come Stati.

Diversi segnali sono percepibili in tal senso, soprattutto in Russia ma anche in Ucraina: il potere centrale controlla sempre meno mentre potrebbero formarsi poteri locali o forme ibride tipo signori della guerra o milizie con una loro autonomia, come i ceceni di Ramzan Kadyrov o i Wagner di Yevgeny Prigozhin. Fino alla guerra ucraina la Wagner operava solo all’estero perché la legge russa vieta i mercenari e i contractors. Ma Prigozhin ha aperto recentemente con sfarzo un grande ufficio Wagner a San Pietroburgo senza curarsi di essere fuorilegge. Ciò significa che sta assumendo un potere parallelo che gli permette di andare oltre il consentito.

Dal canto suo Kadyrov critica pubblicamente la condotta della guerra di Putin. Se questo appare alla luce del sole significa che, nel corpo della Russia profonda o del suo deep state, stanno emergendo forze centrifughe le quali si sentono libere di agire. A detta degli esperti un medesimo fenomeno avviene in Ucraina. La domanda da porsi è se non sia meglio avviare una trattativa ora –malgrado tutte le difficoltà- con Putin prima di trovarsi domani davanti a signori della guerra ancor più anarchici e pericolosi (e in possesso dell’arma atomica).

Dopo la ritirata russa da Kherson, anche il capo di stato maggiore americano pensa che sia giunta l’ora della trattativa, tenendo conto ovviamente che non si tratterà di un dialogo facile o breve. Il fenomeno dei signori della guerra o delle milizie (non del tutto estraneo alla storia russa) è già osservabile altrove, mostrandoci in anteprima l’immagine del caos che potrebbe venirsi a creare.

La guerra cambia anche così: seguendo le mutazioni dello Stato. Se lo Stato può privatizzarsi e indebolirsi fino alla frantumazione, anche la condotta della guerra può seguire la medesima involuzione: non più controllata dagli Stati ma in mano a soggetti privati che si ritagliano la loro parte.

Non si tratta di fantapolitica: la globalizzazione (e la sua crisi) ha già molto indebolito lo Stato nazionale, non solo quello democratico ma anche quello autoritario più rigido e quindi meno predisposto a reagire con flessibilità alle sfide del tempo. Con tutta la loro potenza Cina e Russia hanno fallito l’approccio al covid, sia dal punto di vista organizzativo che scientifico. Oggi la Russia fallisce la guerra: sarebbe saggio e prudente evitare che vada in crisi anche come stato. 

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