Il 25 Aprile di 76 anni l’Italia era finalmente libera dal nazifascismo, alcuni giorni più tardi finivano il 29 cessavano le ostilità della Seconda Guerra Mondiale sul nostro territorio. Gli effetti nefasti degli eventi più violenti del conflitto influenzano ancora oggi la popolazione italiana: gli italiani nati durante il periodo della guerra, e che hanno subito una più forte esposizione a eventi violenti nel periodo intra uterino, hanno ancora dopo più di 70 anni differenziali significativi nella salute e nelle carriere lavorative se paragonati ad individui simili con un’esposizione più debole.

Un nostro progetto di ricerca ha sviluppato negli ultimi anni due lavori su questo tema.

Il primo (qui) ha studiato le conseguenze sulla salute dell’esposizione in utero ai combattimenti e bombardamenti durante la seconda guerra mondiale mentre il secondo (qui), svolto grazie al programma Visitinps Scholars, ha analizzato come le stragi perpetrate dalle truppe tedesche e dalle SS durante la loro ritirata abbiano influito sull’intera carriera lavorativa e pensionistica dei lavoratori che le hanno subite.

In entrambi i casi, la stima degli effetti sfrutta la peculiare eterogeneità spaziale e temporale dell’evoluzione della seconda guerra mondiale in Italia. Gli eventi a ridosso del 8 settembre 1943, hanno portato la guerra direttamente sul territorio italiano.

Con lo sbarco degli alleati sul territorio il conflitto si sviluppa attraverso combattimenti per lo più di fanteria meccanizzata caratterizzati da lunghi periodi di stallo negli avanzamenti delle truppe in cui il numero delle vittime cresce rapidamente, seguiti da avanzamenti del fronte molto veloci e con un numero di vittime minore. La popolazione subisce quindi la veemenza del conflitto in maniera eterogena, con alcune province che vedono passare la guerra rapidamente e altre che la subiscono violentemente.

Entrambi i progetti si focalizzano su un campione di individui tutti concepiti prima del settembre 1943: questi, a causa degli eventi della guerra,  sono stati esposti al conflitto durante periodo di gestazione in maniera molto diversa.  

Si pensi a un bambino nato nelle Marche nell’agosto 1943, quindi concepito nel dicembre 1942 il quale non ha subito durante tutto il periodo intra-uterino il peso delle vicende più crudeli della guerra, mentre un altro concepito a vicino a Cassino nel marzo 1943, a pochi mesi di distanza dal primo; il secondo bambino a differenza del primo ha verosimilmente subito negli ultimi 3 mesi del periodo intra-uterino il peso di uno dei più feroci combattimenti sul territorio italiano.

Le differenze durano per tutta la vita

A partire dal campione di individui, tali differenze nella violenza subita durante la guerra per individui simili (in termini di concepimento e di ulteriori informazioni disponibili nei dati) vengono utilizzate per stimare un modello standard nell’economia applicata (detto di differenze alle differenze). Questo esercizio permette il calcolo della differenza media nei risultati conseguiti in termini di carriere lavorative e di salute osservata per gli stessi individui concepiti prima del settembre 43, in età adulta, cioè tra 35 e 65 anni di distanza dalla guerra.

Vi sono chiare conseguenze negative di lungo periodo sulla salute dei sopravvissuti alla guerra. Gli individui osservati a 61-70 anni di vita (tra il 2004 ed il 2010) esposti durante la fase prenatale alla guerra hanno maggiore probabilità di essere affetti da una malattia cronica ed effettuano in media 3.6 visite mediche in più dei loro coetanei ogni anno. Inoltre, spendono 254 euro in più all’anno in visite, accertamenti diagnostici e consumo di farmaci. L’esposizione in periodo intra-uterino alle stragi naziste durante l’ultimo periodo di gravidanza ha inoltre un impatto positivo e significativo sull’insorgere della depressione in età adulta.

Gli individui esposti alle stragi naziste nella fase prenatale hanno una probabilità più alta di entrare nel mercato del lavoro con una qualifica lavorativa da operaio, più bassa rispetto ai soggetti non esposti. Inoltre, durante il corso della carriera questa iniziale penalizzazione tende ad aumentare: il gap nel salario medio annuale tra individui esposti e non esposti passa dall’2.1 per cento nei primi 3 anni della carriera lavorativa a 5.5 per cento negli ultimi anni, tale divario implica che questi individui hanno una pensione più bassa.

Individui esposti in maniera più grave alle avversità della guerra nel periodo intrauterino hanno quindi lungo tutta la loro vita differenziali negativi di performance lavorativa rispetto ai loro coetanei più fortunati accumulando meno salari e, dunque, minori importi pensionistici. La salute degli individui più esposti nel periodo intra-uterino risulta essere ancora oggi condizionata dalla guerra, ciò implica una spesa sanitaria relativamente più alta. Tutto ciò è visibile a più di 70 anni dalla fine del conflitto. Questa analisi basata sui dati ci sembra un motivo molto serio anche se forse un po’ diverso per dire ancora oggi: “Viva il 25 Aprile, Viva la libertà!”

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