La salute mentale rappresenta una delle principali emergenze che stanno deflagrando in questi anni, a causa di un combinato disposto di fattori che si è acuito durante l’emergenza pandemica. I dati riportati dall’Oms sono eloquenti: le diagnosi per questo tipo di disturbi sono cresciuti di circa il 30 per cento, superando addirittura quelle legate alle malattie cardiovascolari.

Un fenomeno che si declina con particolare gravità in Italia e che, contestualmente, si scarica violentemente sulle categorie più fragili. L’erosione dei servizi per la salute mentale si innesta, infatti, nel più complessivo processo di indebolimento del welfare che sta fiaccando il nostro paese.

Nel complesso non è eccessivo sostenere che i numeri della malattia mentale sono ormai sempre più simili ad un bollettino di guerra in crescita costante. Si tratta di un dramma che riguarda in primo luogo i giovani: ogni anno nel mondo si contano circa 46mila suicidi tra gli adolescenti. La maggior parte delle 800mila persone che muoiono ogni anno per suicidio sono giovani – ricorda l’Unicef – e il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani fra i 15 e i 19 anni, con 46mila adolescenti suicidi ogni anno, più di uno ogni 11 minuti.

I dati

In Italia numeri così inquietanti affondano le radici in meccanismi e dinamiche che da tempo si agitano nelle viscere della società e ora stanno affiorando e si stanno propagando. Istituzioni che rappresentano la prima linea di contatto con i cittadini subiscono un depotenziamento e una conseguente e crescente difficoltà a intercettare i bisogni reali delle persone, come avveniva invece in precedenza.

Le politiche caratterizzate da tagli e riduzione della spesa pubblica si sono tradotte in indiscriminate sottrazioni di risorse, che sono andate a ledere la capacità di erogazione di servizi fondamentali da parte di regioni e comuni.

I presìdi sul territorio mostrano un calo costante e progressivo, in primis per la penuria di personale, proprio mentre gli enti locali e le strutture di prossimità perdono capacità finanziaria e vedono restringersi il perimetro di intervento.

Sulla base dei rilevamenti effettuati dalla Società italiana di psichiatria (Sip), risulta che i servizi di salute mentale pubblici continuano ad assottigliarsi e sono ormai sotto il 3 per cento del fondo sanitario nazionale, mentre l’indicazione europea è del 10 per cento per i paesi a più alto reddito. I dipartimenti di salute mentale (DSM) sono diminuiti di numero (dai 183 del 2015 ai 141 del 2020), mentre la stessa Sip prevede che entro il 2025 mancheranno all’appello altri mille psichiatri.

Disuguaglianze

All’interno di questo scenario sta diventando ormai fisiologico e consolidato l’allargamento della forbice delle disuguaglianze. Una dinamica che riguarda i gruppi sociali, con la quasi estinzione del ceto medio determinata dalla difficoltà per un numero crescente di persone di accedere ai servizi pubblici e dall’impossibilità per gli stessi di rivolgersi al privato.

Contestualmente le disuguaglianze si stanno materializzando anche nello spazio e tra spazi diversi, realizzando vere e proprie barriere geografiche. La differenza nella quantità e nella qualità dei servizi è sempre più ampia, a partire dallo storico divario tra nord e sud che sta raggiungendo picchi probabilmente senza precedenti. Anche all’interno della stessa Regione, infatti, il divario tra due Comuni limitrofi è questione sempre più diffusa.

La latitanza delle istituzioni – come ribadiva assiduamente Don Luigi Di Liegro – assume una connotazione particolarmente dolorosa nella sua dimensione locale. Ed è proprio lì che il terzo settore, il volontariato e il privato sociale operano per colmare falle e lacune e per supplire a mancanze esiziali. Si tratte di carenze che si stanno caratterizzando sempre più come un vulnus democratico.

La sfida risiede quindi nel ricomporre il mosaico – lasciato sbiadire negli anni – delle politiche urbane, come motore di una nuova stagione improntata alla solidarietà. Un percorso che potrebbe approdare e trovare il suo compimento dei 50 anni del “Convegno sui mali di Roma”, che organizzò proprio don Luigi Di Liegro e che costituisce lo scrigno di tutti i valori che stiamo smarrendo.

Non possiamo e dobbiamo arrenderci: la presenza di tante realtà sui territori restituisce la speranza di poter rianimare lo stato sociale e lo stato di diritto. Per farlo, occorre volgere lo sguardo alla costruzione di nuove identità collettive e di un nuovo senso di appartenenza a una comunità condivisa.

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