Secondo l’Istat dal 2019 in Italia le persone sole di 65 e più anni hanno passato la barra dei 4 milioni. Si tratta di un popolo della solitudine destinato ad aumentare. Non possiamo omologare tale situazione ai single (giovani o adulti) che pure crescono di numero ma hanno dalla loro le risorse dell’energia o di una scelta con molti anni davanti. Gli anziani soli costituiscono invece un universo vulnerabile e crescente dei quali la società e la politica devono urgentemente occuparsi.

La solitudine è una malattia aggiuntiva per tutti, ma vivere da soli da anziani è ancora più problematico a causa dei bisogni umani, sociali e sanitari che richiede. Tre su quattro di questi anziani soli sono vedovi (prevalentemente vedove), sempre più spesso senza figli o con un figlio solo, lontano e non convivente.

Fino ad ora davanti a tale situazione la risposta automatica delle società occidentali, e quindi anche di quella italiana, è stata l’istituzionalizzazione. In altre parole, se sei vecchio, solo e non puoi sovvenire parzialmente o del tutto ai tuoi bisogni, sei candidato all’istituto cioè alle Rsa, pudicamente chiamate “sistema di assistenza residenziale”. Ma la pandemia sta cambiando tutto.

Effetto Covid 

Mettere gli anziani in istituto è una scorciatoia che cela un grave problema sociale e impoverisce la società. I sostenitori di tale soluzione dicono che non esiste altra via, soprattutto in caso di non-autosufficienza.

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Altri rispondono che invece le migliori pratiche dimostrano che si può fare altrimenti: domiciliarità, case protette, case famiglia ecc., con il vantaggio di arricchire la società e non di impoverirla escludendone una parte sempre più consistente.

Il problema è che il dialogo tra le due opinioni è molto difficile: chi sostiene l’istituzionalizzazione non vuole sentire ragioni perché il sistema delle Rsa e case di riposo è divenuto un affare economico che dispensa effettivamente lavoro a molte persone e che quindi non si può interrompere, pena molti licenziamenti. Un ricatto in piena regola.

Inoltre si continua a sostenere che l’alternativa costerebbe di più, anche se ciò è falso, come ormai dimostrano montagne di dati. I difensori del sistema ribadiscono che che non tutte le Rsa sono posti orrendi e disumani, ma omettono di dire che in Italia abbiamo appena iniziato a fare i conti in tribunale con i morti della pandemia in istituto, o con il “triage militare” che ha imposto di “lasciarli morire belli tranquilli nei loro letti” come si è ascoltato recentemente dalle intercettazioni di una Rsa di Vercelli. Uno scandalo che si è riprodotto praticamente dovunque.

La scelta radicale di Macron

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Per riparare a tale situazione il Pnrr ha inserito una parte sulla non-autosufficienza in cui si introducono entro il 2023 i livelli essenziali delle prestazioni rivolte agli anziani e si tenta il superamento della dicotomia tra sociale e sanitario, problema irrisolto fino ad oggi. La stessa commissione apposita voluta dal ministro Speranza e presieduta da mons. Vincenzo Paglia ha lavorato ad una politica alternativa.

Dal momento che si tratterà di una riforma essenziale per la società tutta, non guasta informarsi sul modo in cui i nostri partner europei stanno affrontando una simile emergenza, come ad esempio la Francia. Anche oltralpe ci sono stati numerosissimi decessi nelle Rsa (chiamate Ehpad), un sistema che ha il doppio di residenti che in Italia (oltre 750.000 contro i nostri circa 300.000).

Consapevole che è tempo di porre rimedio a tale situazione, il governo di Emamnuel Macron sta pensando a una “legge sull’età avanzata” in stile omnicomprensivo come è d’uso in Francia. Nel momento più duro della crisi pandemica del 2020 i francesi avevano già realizzato un piano di emergenza per le loro Rsa, con programmi di rinnovamento delle strutture e aumento degli stipendi degli operatori. Visti gli scarsi risultati e le proteste dei parenti dei ricoverati (un po’ come da noi), ora si sta pensando ad una riforma per l’autonomia per gli anziani: un grande piano nazionale per la domiciliarità.

L’idea è di permettere al più gran numero possibile di anziani di invecchiare a casa propria promuovendo i modi di vita collettivi alternativi alle RSA: cohousing, habitat intergenerazionale, accoglienza nelle famiglie, case protette, residence ecc. L’idea di Macron è che invecchiare a casa propria “diventi la regola” e che il ricovero in Rsa sia l’eccezione e non la norma.

Per questo la legge limita “drasticamente” l’aumento di posti letto delle Rsa: dai 110.000 richiesto da queste ultime ad un massimo di 36.000 letti. Nel testo si prevede anche la moratoria della creazione di nuove RSA da qui al 2027: una decisione rigida per chiarire le intenzioni del governo. La relazione tecnica che accompagna il disegno di legge dimostra cifre alla mano che un posto in RSA costa oltre due volte al sistema pubblico rispetto ad un posto di assistenza domiciliare.

Tale “virage domiciliaire” –com’è scritto- è un ritornello che molti governi precedenti hanno intonato senza riuscire a fermare la tendenza all’istituzionalizzazione, ma ora si vuole fare sul serio. Tutti i servizi di domiciliarità saranno potenziati e raggruppati sotto la responsabilità dei dipartimenti, che in Francia sono il livello di amministrazione locale più ricco. Ovviamente si tratta di una riforma costosa all’inizio (le cifre saranno discusse in parlamento) anche perché si tratta di aumentare le remunerazioni dei numerosi servizi a domicilio, collegandoli fra loro.

Cosa può imparare l’Italia 

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Le differenze tra i sistemi socio-sanitari e assistenziali italiano e francese sono molteplici e il paragone non può essere fatto automaticamente. In generale il welfare francese è molto più finanziato e territorialmente meglio radicato del nostro. Basti sapere che gli impiegati pubblici in Italia sono circa tre milioni e quelli francesi più del doppio.

Anche nella sanità è così, come pure nel welfare sociale, molto più organizzato e presente del nostro: è noto che la Francia spende in tali settori molto meglio e molto di più dell’Italia e di tanti altri paesi europei. Tuttavia, e forse proprio per questo, è utile conoscerne le idee riformatrici allo scopo di prendere spunto: il dramma delle Rsa/Ehpad è stato comune e continua ad esserlo.

Con il Pnrr il nostro governo dovrebbe pensare ad un grande piano di riforma dei servizi della terza età in maniera strategica: le società europee stanno invecchiando e l’Italia è in testa a tale declino demografico. Gli anziani aumentano sempre di più ed è giunto il momento di immaginare una società futura in cui il loro spazio non sia soltanto la reclusione.

Ci vuole una nuova alleanza tra generazioni che corrisponda all’umanesimo europeo e alla tradizione familiare italiana.

In Italia fino ad ora la vera ed unica arma contro il destino in istituto sono state le famiglie che sempre più spesso non ce la fanno. Per non lasciare che tale situazione divenga (com’è il caso oggi) una giustificazione per i fautori delle Rsa ad ogni costo, occorre sostenere le famiglie in maniera sostanziosa. Se oggi questo rappresenta un costo, domani si rivelerà complessivamente un risparmio.

Aiutiamo le famiglie

Non è vero che le famiglie non siano in assoluto in grado di occuparsi dei propri anziani: adeguatamente aiutate sarebbero ben contente di farlo. Soprattutto è un modo per tenere gli anziani dentro la società e non separarli dagli altri: anche intuitivamente si capisce che questo è un male a cui ci stiamo lentamente abituando.

Occuparsi degli anziani, e in particolare di quelli non autosufficienti, significa occuparsi di tutta la società. Com’è noto molti fenomeni sociali sono oggi in fase di disgregazione: non aggiungiamoci anche la separazione degli anziani dalle loro famiglie, dal loro vicinato, dai luoghi della loro vita. A coloro che sostengono l’istituzionalizzazione come unica risposta lanciamo un appello: invece di trincerarsi dietro il “non c’è alternativa”, proviamo ad immaginare assieme un’Italia migliore per i nostri anziani. Spesso si sente dire «venite a vedere come funziona bene la nostra Rsa»: non è questo il punto.

In ogni caso un istituto, anche il migliore, non è casa, non è famiglia e dovrebbe essere un’eccezione e non l’unica risposta del sistema socio-sanitario.

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