Matteo Salvini ha esultato su Twitter per la decisione del giudice di Milano di archiviare l’indagine sul caso Metropol, la vicenda della trattativa condotta a Mosca dal suo fedelissimo, Gianluca Savoini, insieme a un gruppo di russi con l’obiettivo di finanziare il partito per le elezioni europee del 2019. Il negoziato del 18 ottobre 2018 era stato rivelato dall’Espresso e dal Libro Nero della Lega (firmato da chi scrive insieme a Stefano Vergine) a febbraio 2019. 

Salvini ha twittato: «Sui fondi russi aspettiamo scuse e facciamo querele». Un trionfo, vorrebbe fare credere il ministro. In realtà è solo propaganda mirata a nascondere una scomoda verità, non giudiziaria, ma certamente storica.

Peraltro a un uomo di mondo e di governo come lui, assistito dai migliori avvocati del paese, sicuramente non sfugge un fatto banale: per querelare sono trascorsi ormai troppi anni, la querela per diffamazione può essere presentata nei tre mesi successivi la pubblicazione della notizia. I conti sono facili da fare, dal 2019 sono passati quattro anni.

Ma al di là delle battute, degli slogan e dei tecnicismi, il leader della Lega e ministro dell’Infrastrutture finge di non sapere cosa scrivono i magistrati nella loro richiesta di archiviazione e poi il giudice che accoglie la tesi della procura. Come suo solito, fin dai tempi del glorioso Papeete, la butta in caciara, maestro in questa disciplina, pallone d’oro della mistificazione dei fatti. 

I giudici e la storia

Tanto vale ricordarli, allora, questi fatti ormai documentati ampiamente dall’inchiesta giornalistica e ora dall’esito giudiziario, che è sì un’archiviazione, ma è una fine che consegna alla storia del paese un dato politico, che va oltre la dimensione giudiziaria: la trattativa per tentare di finanziare la Lega c’è stata, l’idea era quella di camuffare il sostegno con una compravendita di gasolio, a condurla è stato il suo ex portavoce insieme a un gruppo di russi legati al potere putiniano. Savoini peraltro ai tempi non era un personaggio di seconda fila, in Russia si era guadagnato l’appellativo di «consigliere di Salvini», seppure senza ruoli ufficiali nel partito è stato lo sherpa per i rapporti con il Cremlino, colui che ha condizionato la politica estera della nuova Lega versione sovranista fondata da Salvini. 

Salvini non è stato indagato, lo dicono chiaro i pm, perché non sono stati trovati elementi sufficienti per dire che lui sapesse del negoziato in corso. Il leader della Lega in quei giorni si trovava a Mosca. Da pochi mesi era vicepremier e ministro dell’Interno, il 17 ottobre era stato ospite di Confindustria Russia. È il giorno prima del Metropol. Terminato il convegno, Salvini, ricordano i magistrati nella loro richiesta di archiviazione, ha incontrato Dymitri Kozak, vice dei Putin con delega all’energia. Fatto curioso: Salvini in trasferta a Mosca non aveva inserito l’appuntamento con Kozak nell’agenda ufficiale. Sui motivi di quell’incontro resta il mistero. Curioso che sia avvenuto nell’ufficio di un avvocato legato a uno dei russi che il giorno dopo trattava con Savoini per trattare il maxi finanziamento. 

Questi sono dati storici, provati e documentati. Per i magistrati non configurano l’ipotesi di corruzione internazionale, anche perché è stato impossibile interrogare alcune figure chiave per l’assenza di collaborazione da parte dell’autorità giudiziaria russa, silente di fronte alle ripetute rogatorie inviate dall’Italia con lo scopo di acquisire documenti e testimonianze. Dunque l’archiviazione era l’unica strada giudiziaria possibile, che non cancella però la storia né le responsabilità politiche della trattativa. 

Perciò il ministro non si aspetti lettere di scuse. Piuttosto, intanto, potrebbe dedicarsi alla lettura della richiesta e del decreto di archiviazione e forse capirebbe perché la fine giudiziaria del caso Metropol non corrisponde alla verità storica, che certifica i legami tra Putin e il più importante partito sovranista d’Europa, che all’apice del successo, al governo dell’Italia, si è fatto condurre dal fedelissimo del leader in una trattativa oscura per finanziarsi con soldi russi. 

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