Finalmente una minoranza italiana da sempre vessata ha trovato il suo portavoce istituzionale, il paladino dei suoi diritti offesi: la minoranza che non guarda Sanremo, quella che trasecola ogni anno perché l'Italia si ferma per guardarlo, quella che ci tiene moltissimo a notificarci che passerà la settimana del festival a leggere buoni libri o a guardare le repliche di Report.

Il Nelson Mandela di questi martiri del pop è il ministro Franceschini, che dopo la sfida lanciata a Netflix in nome dell'autarchia (It's Art, la Netflix della cultura italiana che fa tremare la Silicon Valley) ha deciso di colpire al cuore l'istituzione che ancora tiene unito il paese dopo il presidente Mattarella e Maria De Filippi: la “kermesse”, che per lui non è fattibile nei modi pretesi da Amadeus, col pubblico al teatro Ariston.

Sono mesi che la Rai studia il modo di produrre un festival quanto più possibile normale: nave-quarantena per il pubblico; pubblico composto da medici e infermieri già vaccinati; poltrone occupate da figuranti contrattualizzati e controllati. Sono mesi che vanno in onda programmi col pubblico, da C'è Posta per te a X Factor a Italia's Got Talent.

Ma Franceschini, oltre a non guardare Netflix, non guarda neanche la tv generalista né apparentemente legge i giornali, epperò qualche segretaria al ministero deve aver pronunciato la parola magica “teatro” e il ministro ha avuto un sussulto, svegliandosi: tutti i teatri sono uguali, tutti i teatri devono restare vuoti.

Avrà anche provato a telefonare a Strehler, prima che qualcuno lo avvisasse che il Maestro è morto, e che al massimo dovrà vedersela con Amadeus e Fiorello (al che il ministro avrà risposto basito: «Quello del karaoke?!»).

E forse un'altra segretaria – quella che ha estratto la pagliuzza più corta – gli avrà anche ricordato che da Dpcm gli spettacoli televisivi possono svolgersi col pubblico, che è solo un elemento “scenografico”: definizione più che mai valida per il pubblico di Sanremo, storicamente composto da vegliardi e sciùre capitonné tirati a lustro ogni anno per l'occasione. Dunque che fare?

Il Codacons ha dato subito ragione a Franceschini, e già da questo si evince che il ministro ha detto una cazzata. Ma il problema vero è Amadeus, che vorrebbe dimettersi: dimostrando tra l'altro un senso di responsabilità e un rispetto per le istituzioni non pervenuti nell'altra crisi parallela italiana, quella meno seria, quella del governo.

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Poiché siamo un paese a forma di Sanremo non dovremmo chiederci cosa il festival possa fare per noi, ma cosa noi possiamo fare per il festival: vaccinare il pubblico in diretta e fare così anche un necessario spot anti no-vax? Selezionare il pubblico tra i Responsabili?

Promuovere il teatro Ariston a museo (cosa che del resto è), quindi aperto al pubblico? Convincere Amadeus che il festival si può fare anche senza pubblico in sala, visto che quello che di solito è presente smette di dare segni di vita dopo venti minuti?

Forse l'unica è prendere due piccioni con una fava e risolvere i due drammi che attanagliano il paese con una mossa sola: un festival di Sanremo appaltato a Matteo Renzi in diretta da Riad, dove i cinema e i teatri sono ancora aperti e dove ci sono anche i casinò, pagato dagli sceicchi che non hanno certo problemi a risarcire la Liguria.

Sarebbe la prima cosa popolare che fa il Senatore di Rignano. E noi avremmo finalmente il nostro amato Festivàl. Franceschini potrà sempre guardare It's Art o leggere un buon libro.

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