Lunedì 4 marzo è stato il primo giorno di somministrazione delle prove Invalsi per le ultime classi della secondaria di secondo grado in tutta Italia. Nella mia scuola l’inizio era fissato proprio per quel giorno, perché poi le quinte (o meglio: alcuni studenti delle) partiranno per i viaggi di istruzione. Il calendario predisposto, le aule informatiche pronte, i docenti somministratori formati. Non senza una notevole dose di fatica, non senza qualche borbottio e alcune perplessità.

Sabato 2 marzo, quindi a due giorni dall'inizio delle prove, viene pubblicato in gazzetta ufficiale il Dl 19/2024, contenente modifiche ad altri precedenti decreti (Ulteriori disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza). Ai punti 5 e 6 si propongono alcune modifiche di rilievo nelle «Linee guida per l'orientamento». In particolare, finiranno nell’E-Portfolio sia il consiglio di orientamento rilasciato al termine della secondaria di primo grado, sia «in forma descrittiva, i livelli di apprendimento conseguiti nelle prove scritte a carattere nazionale di cui all'articolo 19, distintamente per ciascuna delle discipline oggetto di rilevazione e la certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese», cioè i risultati ottenuti alle prove Invalsi.

L’E-Portfolio è uno strumento digitale che si trova all’interno della piattaforma Unica, dove è presentato così: «Il portfolio digitale accompagna gli studenti durante tutto il percorso scolastico per aiutarli a fare scelte consapevoli». L’idea di poter guardare, nel lungo periodo, al proprio percorso scolastico ha un suo senso, soprattutto in un sistema scolastico che lascia poco spazio alla riflessione sull’apprendimento, alla metacognizione e all’autovalutazione.

L’inserimento dei risultati Invalsi e del consiglio di orientamento nel portfolio rischia di trasformare uno strumento potenzialmente educativo in un dispositivo al servizio della selezione operata attraverso il controllo digitale. E questo per due motivi che rendono questa scelta profondamente sbagliata, oltre che pericolosa.

Innanzitutto le prove Invalsi non sono pensate e costruite per valutare le abilità dei singoli. Questa precisazione tra l’altro, è stata ripetuta per anni dallo stesso istituto: i dati che ricaviamo dall’Invalsi ci informano su alcune caratteristiche del sistema, rendono le scuole e lo stato più consapevoli nell’orientare le politiche scolastiche e le progettazioni d’istituto. Come ha efficacemente scritto Federico Batini, usare queste prove per la valutazione individuale è come usare un forcone per arrotolare gli spaghetti.

Anche volendo andare oltre l’errore metodologico, resta comunque il timore per un’ombra politica che si allunga sulla scuola italiana. Un conto infatti è scendere a compromessi con le prove perché servono dati per il bene di tutti, un conto è che quei medesimi dati vengano usati dal sistema per marchiare a fuoco gli adolescenti e separare, già alla fine della terza media, le future élite dalla futura manodopera a basso costo, il grano dalla pula.

Lo scorso lunedì mattina, mentre le ragazze e i ragazzi cominciavano le prove, mi sono ritrovata nella bruttissima condizione di essere la persona che stava rendendo possibile il test che, forse, pregiudicherà il loro ingresso all’università o che gli farà avere un lavoro sfruttato e precario, perché se la china è questa è chiara: non è lontano il giorno in cui il portfolio verrà dato in pasto al mondo fuori, all’università o alle aziende.

La cosa drammatica è che loro, le ragazze e i ragazzi, non sospettavano nulla, continuavano a pensare di essere alle prese con i soliti Invalsi, che si devono fare per accedere alla maturità, e qualcuno forse li avrà pure fatti senza metterci troppo impegno. Ignaro che quel giudizio contribuirà a dire, tra qualche mese, chi è e cosa sa fare, e quindi che posto avrà nel mondo.

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