Eugenio Scalfari ha inventato il giornalismo come lo conosciamo oggi. E l’ha dominato per sessant’anni. Ci eravamo abituati a pensare che  fosse eterno, per la sua visione rivolta sempre al futuro, fino alla fine. Oltre alle virtù da giornalista, Eugenio aveva il dono di un rabdomante. A metà degli anni Cinquanta intuisce che sta cambiando la stagione politica e appoggia l’apertura della Dc verso il Partito Socialista.

Nel 1955 fonda L’Espresso con Arrigo Benedetti grazie al sostegno di Adriano Olivetti a cui subentrerà presto un altro gigante, Carlo Caracciolo.

Un ventennio dopo, bellissimi e geniali, Scalfari e Caracciolo danno vita a la Repubblica. Li accomunava un fascino straordinario. Si completavano ed erano destinati a stravolgere il giornalismo italiano, con il quotidiano che ha cambiato la nostra storia.

Scalfari ebbe l’intuizione fondamentale di individuare in Enrico Berlinguer il grande leader della sinistra. Il Partito Comunista Italiano si stava allontanando dall’Unione Sovietica e si avvicinava all’Europa.

Opposizione a Berlusconi

Il rapporto tra i due diventò così stretto che non solo La Repubblica si mangiò gran parte dei lettori dell’Unità, ma nel giro di pochi anni arrivò a dettare la linea della sinistra. La Repubblica non era il giornale del partito ma il giornale-partito.

Per L’Espresso Scalfari firmò grandi inchieste, come quella su Eugenio Cefis, personaggio al centro del romanzo Petrolio di Pasolini. Svelò poi con anticipo gli intrighi del Sifar e il piano Solo. Passò attraverso le Brigate Rosse e il terrorismo nero.

A Repubblica, Scalfari e Caracciolo, oltre che a schierarsi con forza contro Craxi, affrontarono altre grandi campagne. Due, in particolare, furono profetiche. Quella su Enimont, che anticipò la stagione di Tangentopoli e Mani Pulite, e quella contro Silvio Berlusconi, destinata a durare più di vent’anni.

Il momento di grande difficoltà è stata la guerra di Segrate. Berlusconi voleva comprare Repubblica. Per fortuna grazie alla magistratura e a Carlo De Benedetti non andò così.

Sarebbe cambiata la storia del paese. Ezio Mauro, Scalfari e lo stesso De Benedetti fecero la vera opposizione a Berlusconi.

Un’assemblea di studenti

Ho avuto l’onore di veder lavorare Eugenio per quasi tre decenni, dal 1995. Arrivavo dalla Stampa, giornale elegante, e a Repubblica ho trovato la forza fisica.

Era uno dei momenti più intensi del paese, con la nascita dell’Ulivo subito dopo il primo governo lampo Berlusconi. Con Romano Prodi cominciava la prima stagione della sinistra. Elettrizzante.

Sembrava davvero che si aprisse un futuro di modernizzazione del paese. L’Italia cresceva, Roberto Benigni vinceva a Cannes e conquistava gli Stati Uniti con l’Oscar. Una stagione felice che purtroppo si interruppe con il ritorno di Berlusconi.

La redazione di Repubblica in quel periodo era fantastica. Scalfari tirava fuori il meglio dai giornalisti, molti dei quali purtroppo oggi non ci sono più: Giorgio Bocca, Giuseppe D’Avanzo, Vittorio Zucconi, Gianni Mura. Un gruppo straordinario che lavorava con grande unità e confronto di idee, e Scalfari era sempre lì.

Tutte le mattine, alla riunione, dovevi arrivare presto per trovare una sedia, altrimenti ti toccava stare in piedi, al di là delle porte. Più che alla redazione di un giornale, assomigliava all’assemblea di studenti del Sessantotto.

Quando ha lasciato la direzione di Repubblica a Ezio Mauro, Ezio è diventato per noi un fratello maggiore e Eugenio restava il papà, il nostro Barbapapà. Eravamo i suoi figli e ora siamo tutti orfani.

Nei miei sogni, lo vedo che si alza ancora presto, ogni mattina, per andare in edicola a prendere la sua mazzetta di giornali. Commenta ogni articolo, qualcuno gli piace e molti li detesta. E poi torna a godersi il riposo dopo la sua lunga e intensa vita.

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