Una visione consolidata negli studi sulla politica estera americana fino agli anni Sessanta, espressa inizialmente dal famoso giornalista Walter Lippmann, sosteneva che gli elettori capiscono poco o nulla di affari internazionali e non se ne preoccupano proprio. Questo assunto è stato poi smentito nelle ricerche successive dimostrando che, soprattutto in Europa, l’opinione pubblica era piuttosto informata delle grandi questioni di politica internazionale e in grado di seguirne l’evoluzione.

In paesi coinvolti nel processo di decolonizzazione come la Francia e la Gran Bretagna lo spazio dedicato dai media e dalle forze politiche era certo superiore rispetto ad altri paesi ma in alcuni momenti cruciali – l’adesione al Patto atlantico, la rivolta ungherese, la costruzione del muro di Berlino, la crisi dei missili di Cuba, la guerra nel Vietnam – anche altrove l’attenzione si accendeva. Poi, quando la Cnn ha mostrato in diretta l’attacco delle forze della coalizione Onu contro l’Iraq nel 1991, il velo di ignoranza sul mondo è caduto.

Priorità

A maggior ragione, le immagini e i reportage che oggi arrivano dal teatro di guerra ucraino rovesciano addosso a tutti noi informazioni a volontà (senza entrare nel merito della loro qualità e affidabilità), e questo consente di formulare dei giudizi. 

Detto ciò è veramente bizzarra la narrazione, molto diffusa negli ultimi tempi, che il conflitto in Ucraina sia un fattore primario nelle preoccupazioni dell’elettorato e che su di esso si fondi il giudizio sui partiti al momento di depositare la scheda nell’urna. Tutte le ricerche nazionali e internazionali hanno evidenziato come la guerra sia una questione che attira attenzione e coinvolge emotivamente per gli effetti diretti sul popolo ucraino. Ma in nessun caso ha la priorità sugli altri temi domestici.

Basti pensare che nemmeno nelle elezioni in Gran Bretagna, svoltesi appena due mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il vincitore morale del conflitto, Winston Churchill, a capo del conservatori, venne sonoramente bocciato dagli elettori che gli preferirono il programma di riforme radicali del Labour party.

Euroscettici

Non c’è quindi da stupirsi, allora, se nella campagna elettorale in corso i partiti non investono molto sulla crisi ucraina. Anche perché la condanna dell’invasione russa è stata totale. Alcuni hanno discusso l’opportunità di sostenere militarmente gli ucraini senza indicare una via di uscita negoziale (e in questo giornale Mario Giro ha perfettamente argomentato la ratio di questo atteggiamento) ma i voti in parlamento a sostegno delle sanzioni sono stati quasi unanimi.

Tuttavia questo unanimismo nasconde sensibilità molto diverse sulle linee guida della nostra politica estera. Infatti, sul vero, unico, tema di dibattito di politica estera che da anni attraversa le nostre forze politiche, vale a dire l’adesione ai  principi e agli obiettivi dell’Unione europea, le posizioni tra destra e sinistra divergono nettamente, e in alcuni casi attraversano anche gli schieramenti.

A destra, l’euroscetticismo roccioso della Lega non è per nulla tramontato, tant’è che il Carroccio continua a condividere con il partito di Marine Le Pen l’opposizione alle scelte della Commissione nel parlamento europeo. Lo stesso vale anche, pur con toni diversi, per Giorgia Meloni, il cui partito,comunque,non ha votato per la Commissione di Ursula von der Leyen.

La vera differenza

FdI si oppone ad ogni progetto di maggiore integrazione sovranazionale perché intende recuperare la sovranità nazionale, e sostiene una confusa confederazione europea per meglio difendere gli interessi della patrie.

Del recente avvicinamento di Forza Italia al mainstream europeo, dopo le intemerate berlusconiane e dei suoi adepti contro l’Ue e in primis contro “l’Euro di Prodi” di cui Giulio Tremonti, ora transitato (chissà come mai…) sulle sponde meloniane, è stato un fedele interprete, c’è poco da fidarsi. Dietro si intravede una chiara strumentalità: questo cambio di passo serviva a Berlusconi per superare l’esclusione dai tavoli europei subita dopo la sua condanna.

A sinistra, l’unico partito di riferimento, il Pd, è, da sempre, il più coerente sostenitore di una “ever closer union”, come recita il motto dell’Ue. Ed è proprio sul teatro comunitario che i 5 stelle sono usciti dal loro confusionismo quando hanno deciso di votare per la nuova Commissione. Poi l’alleanza con il Pd ha completato il percorso del M5s verso il mainstream filo-europeo.

Più che interrogarsi sulla posizione dei vari partiti in merito alla guerra in Ucraina che riguardano, per ora, solo sfumature, meglio tornare sui fondamentali della politica estera italiana e, in particolare, sul tasso di filo-europeismo delle forze politiche. Perché è questo che farà la differenza nel nostro futuro.

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