E’ difficile uscire bene da questa crisi, soprattutto per il Pd. Le varie soluzioni hanno tutte costi politici di varia natura. Escludendo, per ora, governi tecnico-istituzionali o di larghe intese, una ipotesi che viene data come possibile vede la nascita di un nuovo governo, presieduto ancora da Giuseppe Conte, e allargato a un gruppo di centristi senza patria che si aggregano al solo scopo di sostenere l’esecutivo.

Questa soluzione, ammesso che abbia numeri solidi, non assicura certo quella coesione e unità di intenti necessarie per guidare il paese. Si tratta di una sommatoria di individualità da gratificare con alcuni benefit.

La reazione dell’opinione pubblica di fronte a questa improvvisata scialuppa di salvataggio per tenere a galla il governo è ben immaginabile. Conte, che si fa forza dell’elevato consenso nel paese, vedrebbe intaccata la propria immagine, indebolendo così tutta la coalizione.

Diverso il caso in cui ci fosse una pattuglia di dissidenti che lasciano il proprio partito per formare un altro gruppo a sostegno della maggioranza. Almeno qui si partirebbe da una certa omogeneità politica tra gli scissionisti. Tuttavia non si intravedono plotoni pronti a defezionare dai rispettivi partiti.

Di politici in uscita da Forza Italia, decisi a rompere con le perduranti ambiguità berlusconiane nel rapporto, tuttora organico, con i sovranisti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, non c’è traccia.

Quanto ai senatori di Italia viva, essi hanno condiviso molte delle politiche adottate dal governo e, soprattutto, hanno una storia comune con gli ex compagni del Pd. Una loro autonomizzazione da Renzi con la costituzione di un nuovo raggruppamento consentirebbe al governo una attività molto più coerente rispetto ad ingressi spuri e ideologicamente più lontani.

La posta in gioco per un rilancio del governo sta proprio qui, nella separazione da Renzi di una sua componente. Perché questo accada deve essere netta la chiusura nei confronti di Italia Viva in quanto tale, e altrettanta netta l’opzione zero rispetto al governo Conte: o lui o il voto.

Nel caso invece il Pd ceda sul rientro al governo di Iv sic et simpliciter o, peggio ancora, rimuova Conte, come auspica Marcucci, capogruppo Pd al Senato ed ex (?) fedelissimo di Renzi, Zingaretti e tutto il partito perderebbero di credibilità e scivolerebbero verso l’irrilevanza.

Renzi avrebbe vinto la partita in quanto prima ha obbligato il governo a dimettersi e poi vi è ritornato bello e tranquillo come se niente fosse. Un trionfo per il fiorentino, una umiliazione devastante per il Pd. Che aprirebbe una stagione del tutto inedita, ma forse studiata da Renzi, quella della riconquista del suo ex partito.  Eliminata l’attuale dirigenza, riattivati i suoi antiche compagni acquattati nel Pd, Renzi potrebbe andare a caccia della preda più grossa, ribaltando del tutto la scena.

Per il partito democratico questa crisi può essere esiziale. Se non tiene il punto del sostegno indefettibile a Conte e non fa pagare pegno al leader di Italia viva, si condanna ad un futuro di marginalità.

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