In questi giorni, come tutti possiamo vedere, questo fastidioso contagio, con cui siamo alle prese da qualche tempo, ha ripreso a salire. La domanda che, come credo molti altri, mi pongo sempre più spesso è: ma dove va la gente a contagiarsi?

Voglio subito dire che non potrò basarmi in quello che dico su fonti di informazione raffinatissime che mi sono state fornite da qualche servizio segreto-sanitario straniero, dunque tutto quello che dirò mi proviene da letture e da ascolti di informazione normale, quella accessibile a tutti.

Punto uno, scuola: sappiamo, ci sono stati forniti i dati, che a scuola ci si contagia (ammesso che il contagio si produca lì e non, come è più probabile, da qualche altra parte) circa mille volte meno che da qualsiasi altra parte.

Punto due, trasporti: abbiamo saputo che, anche se ci sembrava il contrario, ma ci sbagliavamo, pure sui mezzi di trasporto ci si contagia centinaia di volte in meno che in qualsiasi altro posto perché la capienza ridotta, che non va calcolata in relazione a nostre strane percezioni spaziali di vicinanza con uno sconosciuto, ma in relazione alla cubatura totale interna dell’aria presente sul mezzo che viene completamente sostituita da aria nuova covidfree ogni tre minuti, rende difficilissimo contagiarsi sui mezzi.

Punto tre, lavoro: anche sul lavoro, non ho adesso sotto gli occhi le percentuali, ci si contagia molto meno che da altre parti, diciamo anche qui centinaia di volte in meno. Dunque dove ci si contagia?

Una delle risposte la sappiamo già, ci si contagia in casa: uno entra in casa sua che è sano, mangia tranquillo, guarda un po’ di tele, va a letto e il giorno dopo esce di casa contagiato, e magari poi porta un po’ di contagio sui mezzi di trasporto e sul luogo di lavoro, e se ha un figlio in età scolare, anche il figlio stando a casa si è contagiato, e il giorno dopo, tranquillo e rilassato, senza immaginarsi di essere diventato anche lui un vettore del morbo diffonde il virus sui mezzi di trasporto e magari a scuola.

Ci tengo qui a sottolineare il fatto apparentemente, ma solo apparentemente, paradossale che, visto che sembra proprio che una parte cospicua dei contagi avvengano in casa, obbligare tanta gente a lavorare da casa in smart working a partire da questo dato emerso dalla ricerca significherebbe esporre a una maggiore possibilità di contagio tutta quella parte di lavoratori che non sono obbligati a lavorare sul loro posto di lavoro (fabbrica, ufficio, scuola, mezzi di trasporto), molto più sicuro delle loro case.

A questo proposito, visto che è ormai acclarato che una parte rilevante del contagio avviene in casa, invece di mandare tanti disgraziati in videolavoro a contagiarsi a casa loro sarebbe stato certamente più proficuo adattare a dormitori con cucina buona parte dei luoghi di lavoro, in modo che il lavoratore restasse tranquillo sul suo luogo di lavoro ventiquattrore su ventiquattro, e non dovesse tutti i giorni esporsi nuovamente al rischio di contagio a casa sua.

Rimanere sull’autobus

Adesso che ci penso, e sarebbe in un certo senso un grande ritorno alla tradizione, visto che adesso è uno dei luoghi più sicuri di tutta la società, anche per quanto riguarda la scuola sarebbe stato più opportuno, invece di dannarsi tanto per migliorare la sicurezza sui mezzi pubblici, bastava trasformare le scuole in collegi facendo un preciso test totale di entrata e poi studenti, prof e personale Ata potevano restare lì fino a inizio giugno senza il rischio di tornare a casa la sera e contagiarsi in famiglia.

E giusto per un senso di simmetria e completezza, anche se non se ne capisce fino in fondo il senso, potevano fare la stessa cosa anche quelli che salivano sui mezzi pubblici, che potevano salire sull’autobus, trasformato in camper-autobus, in settembre e scendere a maggio, quando ormai l’epidemia sarebbe scemata da sola, anche loro senza esporsi al pericolo di dover tornare a casa la sera a rischiare di contagiarsi. Ma perché queste soluzioni semplici, scientifiche e ragionevoli ai problemi vengono in mente solo a me?

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