Anno 2021: l’umanità, affetta da una generale sterilità, si avvia verso un’inesorabile estinzione. Era questa, nel 1992, la distopia del romanzo di P.D. James, I figli degli uomini, dove una società senza risate né pianti di bambini, senza più nulla che leghi il presente al futuro, sopravvive a stento nell’indifferenza, nell’abbandono e nella violenza, in attesa della fine.

Oggi che il futuro ci è addosso, la catastrofe ambientale incombe, e da un anno combattiamo contro un virus che toglie il respiro, le paure consegnate da decenni alla letteratura e al cinema si sono installate tra noi, nel discorso pubblico e nell’orizzonte privato.

Che ne sarà di un paese come l’Italia, dove il tasso di fecondità è tra i più bassi d’Europa e del mondo, e le nuove nascite sono calate nell’anno della pandemia al di sotto delle già fosche previsioni di declino? 

Il dibattito sul tema appare stretto tra un discorso tecnocratico, preoccupato della tenuta del sistema fiscale e contributivo, e un discorso populista, che guarda alla denatalità come minaccia alla sopravvivenza della famiglia tradizionale e della popolazione “nativa”. Stenta, invece, a emergere una visione progressista, capace di legare la sfida demografica all’immaginazione di forme democratiche ed ecologiche per il futuro.

È vero, come affermano le voci critiche più sensibili alla questione della sostenibilità, che nel pianeta siamo fin troppi. Ma come possiamo ragionare di giustizia sociale, generazionale, ambientale, se ci pensiamo come gli ultimi su questa Terra?

Nella presentazione alle camere del Piano di Ripresa e Resilienza, Mario Draghi ha detto che guardare alle prossime generazioni implica «riconoscere la nostra realtà demografica», e mettere i giovani nella condizione di formare una famiglia grazie a «un welfare adeguato, una casa e un lavoro sicuro».

In questa direzione vanno misure come l’assegno unico per i figli, il piano per gli asili nido, le facilitazioni per i mutui sulla casa, le condizionalità per l’assunzione di donne e giovani.

Se questi interventi sapranno produrre gli effetti sperati, dipenderà dalla concretezza e continuità degli impegni, a dalla capacità di attuarli.

Il compito che la politica ha di fronte, però, eccede ogni programma, per quanto ricco, di singole misure. Perché, per intere generazioni che hanno disinvestito sulla genitorialità, ciò che è da tempo in crisi profonda è il rapporto con il futuro.

La possibilità di disegnare un domani, per sé e i propri figli, si scontra da una parte con l’incertezza dell’economia, esposta a forze che appaiono al di fuori del controllo dei singoli e degli Stati, dall’altra con la certezza della crisi ecologica e dei suoi risvolti catastrofici, che sono sotto i nostri occhi.

Solo una politica capace di immaginare scenari alternativi, di ampliare la sfera del possibile, può riaprire l’orizzonte del futuro. La sfida è combattere la paura con la speranza – che non è una questione di calcoli e probabilità, ma una postura da nutrire con visioni di giustizia.

© Riproduzione riservata