«Fin dal suo primo intervento in Senato, quando volle rievocare lo sterminio dei Rom e Sinti, Liliana Segre si è dedicata costantemente in innumerevoli discorsi e articoli al ricordo di tutti i genocidi: da quello degli Armeni all’Holodomor in Ucraina, dalla Cambogia al massacro dei Tutsi in Ruanda, eccetera»
Caro Direttore,
ovviamente anche le posizioni di Liliana Segre possono essere criticate, come quelle di chiunque altro.
Quello che invece non è consentito è deformare, travisare sistematicamente il pensiero di Liliana Segre, arrivare a ribaltarlo nel suo opposto pur di sostenere le proprie tesi. E questo è ciò che fa l’articolo a firma Luca Lo Sapio, dal titolo Esistono genocidi al plurale. Riconoscerli è combatterli, uscito in data 8 agosto su Domani.
Partiamo dal fondo. In polemica con Liliana Segre l’autore scrive che a Gaza «il rischio genocidario appare evidente: solo riconoscendolo possiamo contrastarlo». Nell’intervista del 2 agosto su Repubblica, alla quale Sapio si riferisce, Liliana Segre testualmente ha dichiarato: «Quello di Grossman (NdR: sui «germi di un genocidio» a Gaza) è un ammonimento giusto perché quando si arriva ad affamare una popolazione (…) il rischio di arrivare all’indicibile esiste. Ed è veramente straziante per me vedere Israele sprofondato in un simile abominio».
Come chiunque può vedere, il rischio di genocidio è riconosciuto in termini inequivocabili.
Nel corpo dell’articolo, poi, si afferma che, oltre che dalla preoccupazione riguardo al fatto che l’uso (in realtà “l’abuso”) della categoria “genocidio” possa nascondere sentimenti antisemiti, il rifiuto di Liliana Segre di “sdoganare” quel termine nasca «da una premessa fragile: che uno stato nato per offrire protezione a un popolo perseguitato non possa per definizione riprodurre le logiche dei suoi antichi carnefici».
Questo pensiero non è mai stato espresso da Liliana Segre, non le appartiene e anzi è agli antipodi della visione universalistica che da sempre lei incarna.
Tutto il resto dell’articolo è dedicato fondamentalmente a sostenere che non esista solo la Shoah; che «non esiste ‘il’ genocidio: esistono i genocidi, al plurale» e che l’autorità morale di Liliana Segre, in questo caso, debba essere contestata perché «l’uso del termine ‘genocidio’ non dovrebbe essere riservato esclusivamente a eventi che riproducono in tutto e per tutto il paradigma dell’Olocausto».
Questo rimprovero non solo attribuisce falsamente a Liliana Segre affermazioni che la stessa non ha mai fatto ma pare ignorare nella sua globalità il suo impegno pubblico, la sua pedagogia.
Infatti, fin dal suo primo intervento in Senato, quando volle rievocare lo sterminio dei Rom e Sinti, Liliana Segre si è dedicata costantemente in innumerevoli discorsi e articoli al ricordo di tutti i genocidi: da quello degli Armeni all’Holodomor in Ucraina, dalla Cambogia al massacro dei Tutsi in Ruanda, eccetera. Tutti interventi pubblici facilmente reperibili sia in rete, sia in vari volumi attualmente in commercio.
Non solo. A seguito dell’intervista del 2 agosto, come lei certamente sa, si è scatenato nei confronti di Liliana Segre l’ennesimo linciaggio che, aizzato dai soliti professionisti dell’istigazione all’odio, ha finito per coinvolgere migliaia di persone le quali, senza avere letto una riga dell’intervista pietra dello scandalo e attribuendo a Liliana Segre posizioni totalmente false, la ricoprono di improperi, diffamazioni, dileggio e disprezzo.
Conoscendo l’impegno etico suo e del suo giornale, caro Direttore, sperare che Domani saprà schierarsi a difesa di Liliana Segre e contro il linciaggio in corso.
Cordialmente,
Luciano Belli Paci, figlio di Liliana Segre
Pubblichiamo in risposta la lettera di Luca Lo Sapio:
Gentile Direttore,
Ho letto la Lettera di Luciano Belli Paci, figlio della senatrice Segre e confesso di essere, allo stesso tempo, dispiaciuto e perplesso. Dispiaciuto perché i toni e i contenuti della mia riflessione si sforzavano di essere pacati, non certo irrispettosi verso una figura umana e intellettuale, quella della Segre, che ho sempre stimato e indicato come esempio di rigore morale e impegno civile, per le sue battaglie culturali e per il contributo dato alla crescita civile del nostro paese.
Perplesso perché uno degli obiettivi dell’articolo era di segno opposto rispetto a quanto mi viene attribuito. I contenuti offensivi non possono certo risiedere nel mero dissenso tra la mia posizione e quella della senatrice Segre. Visionando la Lettera intuisco però che il passaggio più problematico, intorno al quale poteva emergere qualche fraintendimento sia sull’autorità morale. Questo però è proprio il passaggio che mi spinge a nutrire il sospetto di una miscomprensione radicale di quanto ho scritto, per cui provo a chiarire.
Il passaggio su Segre e autorità morali intendeva, tra le altre cose, fornire un argomento contro chi afferma che la Segre avrebbe perso la sua autorevolezza morale «non riconoscendo il genocidio in atto» oppure che «gli insegnamenti della Segre verrebbero depotenziati dal momento che la senatrice a vita non è in grado di fornire un contributo attivo, in termini di denuncia, a quanto sta accadendo».
Ritengo entrambi gli argomenti e altri simili del tutto inappropriati e da rigettare con forza in quanto partono dall’idea che un’autorità morale dovrebbe essere una sorta di macchina morale in grado di produrre sempre il giudizio appropriato in ogni situazione.
Dal momento che ritengo quella di “genocidio” non solo una categoria descrittiva ma anche e soprattutto una categoria normativa, il fatto che la senatrice Segre non la utilizzi per leggere quanto sta accadendo a Gaza mi spinge ad affermare che su questo tema specifico il suo giudizio morale sia (o possa essere) inappropriato nel senso tecnico di «non riuscire a fornire una indicazione pienamente rispondente alle problematiche morali in oggetto». Niente di più niente di meno.
Ciò non comporta in alcun modo il venir meno dell’autorevolezza morale della Segre ma solo riconoscere che in alcune situazioni il giudizio di un’autorità morale, che rimane tale comunque, intorno ad alcuni fatti può non essere corretto.
Ancora, significa che un’autorità morale partecipa insieme ad altre figure competenti al dibattito pubblico e le sue posizioni possono anche essere contestate. Diversamente, le affermazioni di un’autorità morale sarebbero dei dogmi. Non ho alcun dubbio sul fatto che la senatrice Segre, proprio per la sua autorevolezza morale, per la sua levatura intellettuale e per l’impagabile contributo che ha dato fino a oggi al rafforzamento della nostra democrazia, sarebbe la prima a non volerlo.
Spero di aver chiarito, con queste precisazioni, alcuni possibili punti di fraintendimento di una riflessione che era animata da spirito di dialogo e sforzo di comprensione, ragion per cui prendo le distanze con estrema forza da tutti coloro i quali stanno strumentalizzando l’intervista della senatrice e partecipando a campagne indegne di linciaggio mediatico.
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