Alle grandi domande della settimana – Trump andrà via per sempre o resterà tra noi? Lo psico-narcisismo è la vera arma segreta che ucciderà la democrazia? – l’Italia purtroppo sta dando la più deprimente delle risposte. Mi riferisco non tanto al fatto che la politica italiana – per non parlare della stampa – si sono dimostrate molto, molto prudenti di fronte all’eccezionale risultato elettorale americano, quanto al fatto che il nostro piccolo mondo ha mostrato quello che potrà essere il futuro.

Ricordando la mignottocrazia

Sembra incredibile, ma è tornato Berlusconi. Anzi, gli è stato chiesto, per favore, di tornare: di partecipare alla maggioranza, avendo il solito occhio di riguardo per le sue aziende, di dimenticare la sua evasione fiscale, l’aver portato il paese alla bancarotta, la corruzione come stile di vita,  la corruzione come stile di vita, la demolizione della democrazia parlamentare da sostituire con una mignottocrazia (parole del “suo” autorevole senatore Guzzanti); gli si è perdonato di aver offerto sponda alla ricomparsa delle idee razziste in Italia.

Per carità, gli si riconosce di aver acquisito una saggezza da statista, di condividere gli ideali europei, gli si promette di varare leggi ad hoc per proteggere le sue – come al solito traballanti -  aziende “dallo straniero”, e gli si lascia intendere che – perché no – una vita passata per diffondere gli ideali liberali potrebbe essere coronata con l’ascesa al Quirinale (Lui ci tiene molto).

Sarebbe come se Biden, tra quattro anni, invitasse Trump alla Casa Bianca, a discutere della costruzione di un muro con il Messico e della assoluta necessità di vietare ai non bianchi di andare a votare. (Tranquilli, non finirà così).

E’ tutto strano, non trovate? Anche perché Berlusconi non ha 70 milioni di voti dietro, ma è un signore di 84 anni a capo di un partito, in cui la metà più intraprendente è finita in galera, lasciando la scena ad un reggimento depresso e mediocre, che sta intorno al 6 per cento.

Però, visto che come sempre la maggioranza è appesa a un filo e che il governo in effetti governa più per caso che per sua forza intrinseca, un sei per cento non può buttar via, anche perché viviamo con lo spettro addirittura di Ale Di Battista, che potrebbe allearsi con Salvini e la Meloni e fare un patatrack. E quindi ha anche un senso che a farsi carico dei ponti d’oro al Cavaliere, sia il partito più responsabile, ovvero il Pd. Politichetta in tempi di virus, certo; ma pare che in in giro non ci sia di meglio.

Chi ci ha creduto dal 1994

Questa storia del Grande Ritorno, dalla “riconciliazione”, della “condivisione”, del “governissimo” non nasce certo oggi. Berlusconi andò al potere, e lo tenne praticamente per un ventennio, nel 1994, raccogliendo i voti di chi non voleva i comunisti al potere. Ed erano tanti, la maggioranza: operai di Mirafiori traditi dalla sinistra, padani vestiti da vichinghi che avevano trovato uno sponsor,  evasori fiscali che vedevano in Silvio il loro campione,  mafia siciliana cui era stato promesso un occhio di riguardo, industriali così ben rappresentati da Gianni Agnelli: «Se perde lui, perde lui; se vince lui, vinciamo tutti».

Era un rumore di fondo, ma sembrava che il soufflé potesse non collassare sotto il colpo di una forchetta. E invece quello cosa ti fa? Fa un partito di plastica in tre mesi, convince facilmente Bossi (che è un po’ tontolone), mette al lavoro Dell’Utri in Sicilia, un mestiere per cui ha talento, e vince. Di poco, ma vince. Insediato a Palazzo Chigi, gli tocca di incontrare una delegazione sindacale già seduta al tavolo delle trattative, arriva volutamente in ritardo per potere pronunciare, stentoreo: “Quando entra il presidente del Consiglio, ci si alza in piedi”.

Il trauma dei comunisti, che allora si chiamavano Ds, si trasforma in una sorda ammirazione per la forza e la determinazione messa in campo da Berlusconi. Nessuna delle cose che avrebbero potuto essere argomento di battaglia politica per un partito di sinistra, dal conflitto di interesse, alla incostituzionalità del “partito azienda”, all’opacità dei rapporti con la mafia, allo strapotere mediatico, alla politica fiscale,  venne preso seriamente in considerazione. E così il berlusconismo si installò, ed è rimasto.

Le rassicurazioni degli avversari

Nel 1996, quando Prodi battè Berlusconi (e si poteva chiuderla lì, una volta per tutte), D’Alema e Violante, all’epoca i due leader dei DS, si affrettarono a ricordare al Cav. che le sue aziende non sarebbero state toccate (“sono un assett strategico”) e anzi che era caldamente invitato a scrivere, con loro, una riforma della costituzione, la famosa, e quanto mai ridicola “commissione bicamerale”.

Violante, in particolare, esercitò una moral suasion sui magistrati che il partito controllava, perché non esagerassero.

Un decennio dopo arrivò Renzi, che con Berlusconi era tutto baci in bocca, e fece il patto del Nazareno. Il berlusconismo era diventato una cosa imprescindibile, si era incistato.

Salvini nascerà lì, in quegli studi televisivi, come una specie di Berlusconi più giovane, e lì ora probabilmente morirà. E ci sarà di nuovo l’eterna attrazione per il governissimo, nei fatti; - una volta si diceva: “è ò’Europa che ce lo chiede”; oggi si dice: “è il virus che ce lo impone” - e i giustizialisti Cinque Stelle che si ostinano a sostenere che Berlusconi non è estraneo ai tremendi avvenimenti di ormai tanti anni fa, saranno messi a tacere.

Esistono in Italia politici che propongono una soluzione diversa? C’è da sperare di sì. Se no ci aspetta un futuro di tintura dei capelli che cola, di chiome ingrigite e trapiantate, cerone, avvocati, cospirazioni, complotti, uomini obesi che giocano a golf, donne che li accusano di stupro, magistrati che chattano troppo, milizie, in un lungo desolato lockdown.

E si dirà: però Trump, c’aveva grinta. E si dirà: però Berlusconi, non ha mai mollato.

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