Il 3 di agosto leggeremo sui giornali il discorso commemorativo del presidente della Repubblica per il 41esimo anniversario della strage di Bologna. Come di consueto leggeremo che il paese attende giustizia e che tutto deve essere chiarito, ma non leggeremo che siamo, di fatto, al trapasso del settennato.

Il presidente della Repubblica entra in uno stato di diminuzione di quel potere che è essenziale per reggere la situazione di straordinarietà e di necessità, cioè il potere di scioglimento delle camere. E questo accade nel pieno di una crisi lunga, quella dei partiti e del sistema politico che ha talmente intaccato le istituzioni da essere entrati in crisi anche i movimenti antisistema: la crisi dei Cinque stelle è il sintomo infatti della impossibilità di istituzionalizzare i movimenti antisistema. Da parte dei Cinque stelle c’è stata la presa di coscienza che l’entrismo istituzionale non ha determinato un capovolgimento del sistema politico, non si è passati dalla democrazia rappresentativa a quella diretta. Gli altri partiti ormai sono fantasmi. E il settennato è stato viziato da un errore politico di fondo, il tentativo di istituzionalizzare i movimenti antisistema.

Il governatore Draghi

Il punto attuale di coagulo è il punto più incerto, un presidente del Consiglio voluto da un presidente della Repubblica che mestamente va via e apre il periodo della transizione incerta. Draghi in questo momento non è il garante del sistema in crisi ma il garante europeo affinché non vengano sprecati i mezzi e le risorse che ci vengono inviate. In Europa non tutto va bene: Francia e Germania sono in difficoltà, riemergono tendenze sovraniste e anti europeiste da parte di paesi vitali nella geopolitica dell’Unione. Per l’Europa è essenziale che in Italia non si determini un vuoto.

M5S, poteri scomposti

Il 3 di agosto dunque si apre una fase nuova, quella di come far sopravvivere la democrazia in uno stato di necessità dove tutto depone a sfavore della democrazia. E dove il presidente del consiglio ha un sovraccarico di responsabilità nei confronti del paese e dell’Europa. Una questione che investe non solo l’unico garante della Costituzione rimasto, la Corte, ma anche l’informazione. L’informazione oggi è timida se non assente nello spiegare la crisi del sistema democratico. La vicenda dei Cinque stelle denota una scomposizione dei poteri istituzionali. Si è mai visto un presidente della Camera dover mediare nella forza politica a cui appartiene fra forze antisistema e forze che rinviano la resa dei conti con il sistema? E un ministro degli Esteri chiamato a dirimere una vertenza fra sovranisti e tendenze a favore del colonialismo di una potenza straniera come la Cina?

Il semestre bianco sarà una tortura ulteriore per il sistema democratico. Il parlamento, dominato dalla ragione primitiva della sopravvivenza, è insieme artefice e vittima della crisi. Siamo di fronte a uno sistema in stato di abbandono, perché considerato ingombro per la sopravvivenza del paese.

Informazione e sindacato

La crisi ha investito anche il blocco sociale, la rappresentanza. Siamo dinanzi a un sindacato che ha dovuto talmente arretrare da firmare un documento in cui viene raccomandato alle imprese che prima di licenziare facciano ricorso ai mezzi di sostegno che il governo mette a disposizione. Non era mai successo che un sindacato diventasse non elemento di lotta, difesa e mobilitazione organizzata, ma di una forza per organizzare al meglio una rovinosa ritirata senza fine.

Oggi dunque sono due le forze da mobilitare, l’informazione e il blocco sociale. L’informazione ha bisogno di sapere in che sistema è chiamata a vivere, e il sindacato è chiamato a dire quali sono i margini per la ripresa di una offensiva democratica.

Domani ha rivelato quello che è avvenuto nel carcere dei Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile del 2020: è possibile che un evento di quella gravità non era nei radar dei ministri, di giustizia, degli interni, o del Csm? I Cinque quelle si scindono su uno statuto non pubblico: ci vuole un’offensiva democratica dell’informazione perché non si tratta di una curiosità professionale ma della vita delle istituzioni di questo paese.

Il presidente della Repubblica non sarà Draghi, sarà però scelto da Draghi fra i personaggi più deboli e remissivi perché dal 3 di agosto entra in carica un governatorato raccomandato dell’Europa. Se non riesce questo risveglio democratico, quel giorno celebreremo anche la fine dell’ultimo triste e mesto settennato della Repubblica democratica nata dalla Costituente.

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