A Taranto c’è stato disastro ambientale e a causarlo è stato il siderurgico più grande d’Europa. La sentenza di primo grado del processo ambiente svenduto contro i Riva, ex-padroni dell’Ilva, certifica con condanne pesanti quanto cittadini, lavoratori e associazioni, tra cui Legambiente, denunciano da tempo. Non a caso i Riva rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. E fa finalmente giustizia in nome della salute e dell’ambiente.

Una sentenza storica

Una sentenza storica, che conferma la solidità delle perizie epidemiologica e chimica disposte dal gip Todisco, per la quale bisogna ringraziare la magistratura. Che purtroppo arriva dopo troppi anni in cui la città ha subito l’inquinamento dei Riva, pagando un prezzo dolorosissimo in termini di vittime, di malati e di speranze sociali. E proprio in virtù del costo salatissimo pagato dai tarantini non possiamo gioire di questa sentenza.
Ma dobbiamo pretendere che sia di monito e di aiuto per il futuro. Perché mai più un territorio e la sua popolazione siano costretti a scegliere tra salute e ambiente da un lato, e lavoro ed economia dall’alto. Un ricatto inaccettabile. Tanto più che si possono conciliare economia ed ecologia, che si può fare industria in modo pulito, rispettando salute ambiente e diritti dei lavoratori. Lo insegnano anche le circa 500mila imprese italiane che hanno già scelto la via della sostenibilità.
Oltre alle condanne pesanti per i fratelli Fabio e Nicola Riva, ma non solo per loro, la sentenza sanziona vari amministratori e funzionari pubblici e decreta la confisca dell’area a caldo ma con facoltà d’uso. Il procedimento, infatti, mette nel mirino quasi 20 anni di gestione dell’acciaieria e coinvolge 44 persone e tre società.

Nichi Vendola

Sul piano personale il mio pensiero non può non andare a Nichi Vendola (che per gli inquirenti avrebbe fatto pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia per "ammorbidire" la posizione dell’agenzia sulle emissioni dell’Ilva), che continuo a ritenere una brava persona che molto ha fatto per la sua Puglia, questo pur rispettando ovviamente la decisione dei giudici e sperando in un esito diverso per i prossimi gradi di giudizio.

Al di là delle singole pene ai diversi imputati, emerge un convitato di pietra: la politica nazionale e locale che in tutti questi anni è stata sostanzialmente assente, o incapace di intervenire, consentendo di fatto all’Ilva di produrre fuori dalla legge e da ogni attenzione per la salute.

La politica che avrebbe potuto e dovuto fare di più prima, deve prendersi la responsabilità di agire almeno ora per il futuro di Taranto. Avviando rapidamente il percorso per quella giusta transizione ecologica che tutti i cittadini meritano.

Adesso tocca allo stato

Lo stato e la politica dovranno ora garantire il risanamento dell’area e una reale riconversione dell’ex Ilva, la sua decarbonizzazione. Una sfida importante, ma che non deve scoraggiare: abbiamo innovazioni e capacità tecnologiche per farlo. E oggi possiamo contare sia sulle risorse del Recovery e del Just Transition Fund, che sulle nuove possibilità di accelerare nella giusta direzione utilizzando procedure semplificate. Iter più leggeri che andranno evidentemente accompagnati da controlli rafforzati e ad un attento monitoraggio.
L'unica via possibile per dare un futuro al siderurgico e tutelare anche il lavoro, infatti, è che insieme alle bonifiche e al risanamento si realizzino tutti gli interventi e le innovazioni indispensabili per dire addio al carbone passare a gas, elettrificazione e all’idrogeno rendendo la produzione dell'ex-Ilva più sostenibile e compatibile con la sua collocazione, a ridosso della città.

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