Omicron in crescita con Delta ancora ben presente, reinfezioni di persone già infettate e/o vaccinate, abbassamento rapido di efficacia vaccinale, studi per nuovi vaccini, previsioni che una persona su due si contagerà, permanere di un alto tasso di letalità, e molto altro, caratterizzano questa fase come probabilmente la più complicata da comunicare dall’inizio della pandemia.

Per molti di questi fenomeni non è facile spiegare come stanno in relazione tra loro, a volte sembrano in contrasto, come ad esempio “una persona su due si infetterà” e “occorre sviluppare sempre nuovi vaccini”, e tutto questo è pane per le posizioni più radicali e radicalizzanti. Allora cosa si suggerisce? Di non divulgare più i dati giornalieri perché ansiogeni.

Onestamente non è facile capire quali siano le funzioni che caratterizzano questo pensiero in sé (logica formale) o il rapporto tra questo pensiero e i propri contenuti (logica materiale) o le forme del ragionamento deduttivo (logica simbolica) alla radice di questa proposta, intanto avanzata sui media, che sembra trovi ascolto da parte del governo.

Se la comunicazione non si percepisce all’altezza la via maestra sarebbe di migliorare la strategia, adeguandola a una fase oggettivamente diversa dalla precedente.

Dai modelli di comunicazione in altri paesi a noi vicini si potrebbe non copiare ma imparare a prendere il meglio, ad esempio a favore di una maggiore centralità delle istituzioni scientifiche centrali come assume l’istituto Koch in Germania, una maggiore inclusione delle associazioni di cittadini come avviene in Gran Bretagna, i pro e i contro la gerarchizzazione o la regionalizzazione per i quali Francia e Spagna si presterebbero bene.

Tre dei criteri guida cruciali per una comunicazione scientifica corretta ed efficace sono: che i dati non debbono mai essere rilasciati senza commento da parte dei responsabili di quei dati, perché, specie in una situazione di emergenza, la variabilità di recepimento e interpretazione è molto ampia e dipende da tante variabili, dal grado di acculturazione, alle aspettative alla radicalizzazione, etc; che spiegare concetti, metodi e educare al ragionamento è molto diverso dalla divulgazione di dati e metadati; che siano facilmente riconoscibili le opinioni degli esperti, nominati da qualcuno, dalle posizioni basate sulle evidenze scientifiche.

Risulta piuttosto chiaro come spesso ci si distacchi molto da queste linee guida, e così i dati lasciati alla libera interpretazione vengono strapazzati in tutte le direzioni, le opinioni sono scambiate con posizioni ufficiali.

Serve responsabilità

Una delle opinioni più consolidate in comunicazione è che una volta che i buoi sono usciti dalla stalla è molto difficile riportarceli, e questo dovrebbe consigliare a investire di più in azioni proattive rispetto a misure di contenimento del danno da fake news disinformazione.

In questa situazione c’è la necessità di un sovrappiù di consapevolezza e responsabilità da parte di tutti gli attori in campo: le istituzioni, le organizzazioni non governative, i media e anche gli scienziati.

Affrontare argomenti complessi e controversi in talk show, a suon di battute, espone le persone che accettano a responsabilità che non sono uguali per un politico, per un giornalista, per uno scienziato.

Lo scienziato, in particolare in discipline biomediche e di sanità pubblica, non è neutrale perché è dalla parte della salute collettiva ma deve essere imparziale perché ha il carico morale di considerare tutte le prove scientifiche a favore e contrarie a una ipotesi di partenza che deve essere formulata e comunicata senza preconcetti e pregiudizi (in scienza e coscienza), sapendo ed esplicitando quali sono i propri limiti e quanto bisogno c’è di altre competenze.

Di fronte alla complessità c’è sempre più bisogno di sapere multidisciplinare, l’epidemiologo, il matematico, l’igienista, il virologo, il clinico, lo statistico, il genetista etc, mentre i “tuttologi” dovrebbero essere merce in via di estinzione.

Anche la comunicazione scientifica ha bisogno di una crescita, non di una costrizione, curando sempre di più la trasparenza nei confronti dei rapporti con le funzioni di governo, cioè come, quanto e perché certi dati e certe evidenze vengono usate e altre no. Tutto sommato si sta parlando di democrazia.

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