Più che una polemica estiva, quella dell’utilizzo del green pass sui luoghi di lavoro sembra essere una bomba destinata ad esplodere a settembre. Da un lato il governo continua a muoversi sul filo dell’interpretazione di norme che non prendono una posizione netta sul tema e fa parlare le FAQ più che le leggi. Dall’altro il sindacato che non ha una posizione unitaria al suo interno e che non sembra disponibile a supplire proprio all’assenza di decisionismo dell’esecutivo. In mezzo i luoghi di lavoro dove quotidianamente sorgono problemi particolari difficili da affrontare.

Dalla situazione delle mense alle quali, da FAQ governative, non possono accedere i lavoratori senza green pass ai casi di colleghi vaccinati e non vaccinati (magari senza neanche un tampone) che lavorano fianco a fianco. Uno scenario che sembra ancora contenuto in un agosto in cui tante imprese in cui si lavora in presenza operano a regimi ridotti tra ferie e cali della produzione, ma che a settembre potrebbe sprigionare le sue contraddizioni.

Le incertezze del governo

L’imputato principale sembra essere un governo che ancora non ha avuto il coraggio di muoversi nella direzione di un obbligo non tanto vaccinale quanto del possesso del green pass per tutti i lavoratori e non solo per le categorie già individuate. Una reticenza che sembra far buon gioco con una retorica che vede nel sindacato (che peraltro fornisce qualche alibi) un attore ambiguo quanto dovrebbe invece essere il soggetto che ha il dovere di spingere alla vaccinazione, o quantomeno al green pass, avendo a cuore la sicurezza dei lavoratori.

Retorica che appare però debole se non fondata, come ha chiesto anche il presidente di Federmeccanica negli ultimi giorni, su una norma che preveda chiaramente la necessità di green pass come requisito per l’accesso ai luoghi di lavoro.

Sembra quindi che la storia si ripeta. Dopo l’ultimo anno e mezzo in cui le imprese hanno potuto continuare a lavorare in virtù dei protocolli sottoscritti dalle parti sociali, si pensa di delegare ad esse anche questa delicata e potenzialmente esplosiva fase. I vari protocolli che si sono sottoscritti in migliaia e migliaia di aziende sul territorio nascevano da un protocollo sottoscritto a livello nazionale che recepiva i contenuti dei diversi decreti che si susseguivano. Un passaggio che oggi, relativamente al green pass, continua a mancare.

Serve una norma

L’aggiornamento dei protocolli, a partire da una norma, sembra quindi essere la strada principe per risolvere questo stallo e per risolverlo attraverso disposizioni che siano costruite secondo le peculiarità organizzative delle imprese.

Quindi la conferma di un ruolo centrale delle relazioni industriali, spesso tanto criticate, ma che non sia una strada per una deresponsabilizzazione dello Stato, quanto piuttosto un coordinamento tra più livelli.

Questo coordinamento potrebbe giocarsi su un supporto concreto a partire dalla garanzia di un prezzo calmierato dei tamponi che i lavoratori sprovvisti di vaccino dovrebbero effettuare.

Un costo inferiore infatti, potrebbe convincere un numero maggiore di imprese a coprire in parte o totalmente questo onere necessario a fronte dell’assenza dell’obbligo vaccinale.

In questo modo la responsabilità della gestione di questa fase vedrebbe la partecipazione di tre attori e non solo del sindacato a cui oggi sembra essere additata la responsabilità unica di ogni criticità.

Così emergerebbero più facilmente i veri ostacoli contribuendo a mettere spalle al muro quegli atteggiamenti ambigui che non risparmiamo il rischio di una certa accondiscendenza verso una quota di lavoratori, minoritaria ma non residuale, che non ha al momento intenzione di vaccinarsi.

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